Due potenti molecole appena individuate sono in grado di bloccare un’alta percentuale dei ceppi in circolazione. Ma è presto per parlare di un vaccino

A poco più di un anno dallo stop alle sperimentazioni di nove vaccini contro l’Hiv per inefficacia e pericolosità , Science riporta la scoperta di due nuovi e potenti anticorpi, attivi contro molti ceppi del virus, che fanno intravedere la possibilità di mettere a punto una nuova terapia preventiva.


Le sigle che identificano i due nuovi anticorpi sono PG9 e PG16, dal nome delle regioni del virus a cui si legano. Sono i primi ad “ampio spettro” identificati da dieci anni a questa parte e i primi in assoluto a essere stati isolati da individui provenienti dal continente africano, in cui si registra il più alto numero di nuove infezioni. Non solo le due molecole reagiscono con il 75 per cento dei ceppi di Hiv testati, ma sembrano in grado di bloccare il virus a concentrazioni molto più basse rispetto agli anticorpi finora individuati. Questi particolari anticorpi per l’Hiv sono prodotti da una piccola percentuale di persone entrate in contatto con il virus, e si distinguono dagli altri proprio perché sono in grado di neutralizzare gran parte dei ceppi al momento in circolazione. Ad oggi sono state trovate solo altre quattro molecole con un simile raggio di azione.

Il merito della scoperta è del network scientifico internazionale Iavi – organized Neutralizing Antibody Consortium (Nac), che coinvolge oltre dieci istituti e centri di ricerca. Gli autori dello studio, coordinati da Dennis Burton dello Scripps Research Institute di La Jolla (California), hanno trovato che PG9 e PG16 riconoscono un “motivo ricorrente” di una proteina del virus: una sequenza di aminoacidi altamente conservativa (ovvero che non muta e si ritrova, uguale, in molti tipi di Hiv) e abbastanza facile da attaccare, identificata per la prima volta in questo lavoro. La differenza rispetto ad altri anticorpi, quindi, non sta nel meccanismo di azione, ma nell’affinità per una parte del virus in un certo senso più vulnerabile.

Il network – fanno sapere i ricercatori – si occuperà ora dello studio della struttura molecolare di PG9 e PG16 e delle loro regioni bersaglio, per stabilire se esiste davvero la possibilità di creare un vaccino efficace.

Da qui a pensare di avere in mano un vaccino, infatti, ce ne passa. “Si tratta di dati importanti, che potenzialmente avranno un grande peso nella ricerca sull’Hiv”, dice a Galileo Mario Clerici, a capo del Laboratorio di Immunologia presso l’Università di Milano: “Ma sappiamo bene che molti anticorpi promettenti, in grado di neutralizzare il virus in provetta, nei test in vivo si dimostrano inefficaci. Le delusioni in questo campo continuano a susseguirsi. Credo inoltre, come molti altri immunologi, che una prevenzione basata solo sugli anticorpi non possa funzionare, perché questi attaccano le particelle virali libere, ma non entrano nelle cellule infette”.

La scoperta è comunque destinata a fare rumore, anche – se non soprattutto  – per il nuovo metodo con cui i due anticorpi sono stati individuati. I ricercatori hanno prelevato campioni di sangue da 1.800 persone di origine sub-sahariana, oltre a quelli di altri individui tailandesi, australiani, inglesi e statunitensi. Tutti sono stati esaminati con una tecnica chiamata “micro-neutralizzazione” che, diversamente da quelle impiegate finora, consente di misurare direttamente la capacità degli anticorpi di bloccare il virus.

In questo modo i ricercatori sono riusciti a isolare PG9 e PG16, e sono risaliti prima alle cellule del sistema immunitario che li producono (passando in rassegna oltre 30.000 linfociti B memoria) e poi ai geni che ne regolano la formazione. Al momento, anticorpi clone di quelli isolati possono essere prodotti in quantità illimitate da usare nella ricerca. “Questo nuovo metodo di screening è potentissimo e permette di individuare tutti i siti attaccabili dagli anticorpi. Dal punto di vista tecnologico – conclude Clerici – è un grande avanzamento”.

Riferimento:Walker, L. M. et al.  Science advance online publication doi:10.1126/science.1178746 (2009)


Galileonet.it

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