Il sistema endocannabinoide mette a rischio la fertilità maschile

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Non è più solo un sospetto. L’abuso di sostanze cannabinoidi, principali costituenti della marijuana, potrebbe contribuire a provocare l’infertilità nell’uomo. Lo ha confermato lo studio “The endocannabinoid system and pivotal role of the CB2 receptor in mouse spermatogenesis”, aprendo nuove prospettive per la comprensione dei fenomeni di oligospermia o azospermia (drastica diminuzione o totale assenza del numero di spermatozoi, spesso con riduzione della motilità), in particolare in quei pazienti che presentano normale assetto cromosomico e assenza di difetti genetici noti o patologie occlusive.

La ricerca, pubblicata sulla rivista Pnas-Proceedings of the National Academy of Sciences, è stata condotta in collaborazione tra ricercatori del Consiglio nazionale delle ricerche – Istituto di chimica biomolecolare (Icb-Cnr), Istituto di cibernetica (Ic-Cnr) e Istituto di biochimica delle proteine (Ibp-Cnr) – e dell’Università di Roma Tor Vergata. Essa dimostra per la prima volta come, nel topo, il sistema endocannabinoide (cioè il sistema su cui agisce anche la marijuana) sia coinvolto nel processo della spermatogenesi.

“Negli ultimi anni – spiega Pierangelo Orlando dell’Ibp-Cnr – abbiamo assistito ad un aumento progressivo dell’incidenza dell’infertilità di coppia. Secondo le più recenti statistiche a livello mondiale, sarebbero circa il 15% le coppie con problemi di mancata o ridotta fertilità, per il 40% attribuibili a oligospermia o azospermia maschile. Le cause potenziali della ridotta fertilità maschile sono da ricondurre per il 60% dei casi ad una origine genetica e per il restante 40% a malformazioni occlusive o che sfuggono alla classificazione”.

Una delle cause dell’oligospermia, tra quelle che attualmente non risultano classificabili – prosegue il ricercatore, componente del Endocannabinoid Research Group coordinato da Vincenzo Di Marzo dell’Icb-Cnr – potrebbe essere riconducibile al cattivo funzionamento del sistema endocannabinoide, con cui anche l’abuso di cannabis può interferire. È stato infatti osservato che le cellule germinali presenti nel testicolo dell’animale possiedono recettori del sistema endocannabinoide e, in particolare, che il recettore dei cannabinoidi di tipo 2 (CB2) è coinvolto nel processo meiotico mediante il quale da ogni spermatocita primario (che nel maschio della specie umana presenta assetto cromosomico 46,XY) si ottengono 4 nuove cellule (spermatidi) 2 con assetto cromosomico 23,X e 2 con assetto 23,Y, che daranno origine durante la spermiogenesi agli spermatozoi maturi.

Paralleli studi farmacologici dimostrano la possibilità di modulare in vivo il sistema endocannabinoide mediante agonisti ed antagonisti dei recettori CB2 ed inibitori della formazione o degradazione degli endocannabinoidi, aprendo così la strada ad approcci terapeutici in caso di funzionamento non corretto”.

Infine, conclude il ricercatore, “il ricorso alla fecondazione medicalmente assistita (Icsi-iniezione intro-citoplasmatica dello sperma nell’ovulo, eventualmente previa aspirazione degli spermatozoi residui dal testicolo-TESA), se ha risolto gran parte dei casi di infertilità maschile, ha determinato nella prole un aumento statisticamente significativo sia di trasmissione genetica dell’infertilità, sia una incidenza maggiore da 6 a 9 volte di anomalie cromosomiche, in particolare quelle definite ‘da difetto di imprinting’ (sovra-dosaggio genetico) come le sindromi di Beckwith-Wiedemann, Angelman, Prader-Willi”, malattie genetiche rare caratterizzate da importanti alterazioni anatomo-funzionali e aumentato rischio di tumore.

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