Diabete: scoperto interruttore molecolare in grado di silenziarlo

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Si chiama p66 ed e’ un interruttore molecolare che se disattivato, previene la malattia anche in casi di eccessi calorici e chili di troppo. Il risultato, frutto di uno studio di ricercatori della Cattolica di Roma potrebbe aprire la strada all’utilizzo di inibitori della proteina per prevenire e curare il diabete. La ricerca e’ pubblicata sul numero in uscita della prestigiosa rivista Proceedings of the National Academy of Sciences USA (PNAS) I ricercatori dell’Universita’ Cattolica di Roma hanno individuato un importante interruttore molecolare per impedire la comparsa del diabete: grazie a esperimenti su topolini hanno visto che e’ sufficiente spegnerlo per prevenire questa grave malattia indotta sempre piu’ spesso da eccessi calorici e sedentarieta’. Il p66 e’ un gene dell’invecchiamento che codifica, scoperto da altri ricercatori itaiani anni fa.
Mettendo “KO” questo gene si impedisce la comparsa del diabete nei topi anche quando si conduce una alimentazione squilibrata ed eccessiva che porta a sovrappeso o obesita’ e che conduce quasi sempre allo sviluppo del diabete. Se gli stessi risultati saranno riprodotti sull’uomo, forse p66 potrebbe divenire un’arma potentissima contro una delle epidemie del XXI secolo.
La scoperta e’ il frutto del lavoro scientifico condotto dall’equipe di guidata dai ricercatori Giovambattista Pani e Tommaso Galeotti dell’Istituto di Patologia Generale della Facolta’ di Medicina e Chirurgia dell’Universita’ Cattolica di Roma. Il lavoro, cui hanno contribuito anche l’Istituto di Fisica e l’Istituto di Biochimica della Cattolica di Roma ha visto impegnati per diversi anni anche due giovani dottorandi di ricerca presso l’istituto di patologia generale dell’Ateneo del Sacro Cuore, Sofia Chiatamone Ranieri e Salvatore Fusco.

La ricerca, che oggi viene pubblicata sulla prestigiosa rivista “Proceedings of the National Academy of Sciences USA (PNAS)” ed e’ stata sostenuta da un finanziamento della European Association for the Study of Diabetes (EASD), contribuisce a decodificare il misterioso filo rosso che lega alimentazione, metabolismo e invecchiamento. La dieta ipercalorica e iperlipidica tipica della societa’ occidentale favorisce l’insorgenza di obesita’ e del diabete. Questa malattia, caratterizzata dalla incapacita’ dell’organismo di utilizzare e smaltire l’eccesso di zuccheri e nutrienti assorbiti mangiando, accelera il processo di invecchiamento colpendo tessuti come l’occhio, il rene e i vasi sanguigni, con danni molto simili a quelli osservati nelle persone molto anziane. “L’obesita’ e la sindrome metabolica sono frutto di un eccesso calorico e in parte di una predisposizione genetica e sono legate al diabete ‘alimentare’ e all’invecchiamento accelerato – ha spiegato il prof. Tommaso Galeotti, direttore dell’Istituto di Patologia Generale della Cattolica ed esperto di bioenergetica – anche se i meccanismi molecolari che partecipano a questo processo patologico, non sono completamente compresi”. E’ noto pero’ che la riduzione dell’apporto calorico – metodo tecnicamente detto di restrizione calorica che consiste in una moderata diminuzione dell’introito di calorie (-30%) – e’ efficace nel ritardare l’invecchiamento e la comparsa di patologie ad esso correlate come il diabete e il morbo di Alzheimer come dimostrato su numerosi organismi, dagli animali piu’ semplici agli esseri umani.
Rinunciare al cibo, pero’, e’ difficile ed espone a pericolose carenze nutrizionali; la soluzione a invecchiamento, obesita’ e diabete va dunque cercata nei meccanismi molecolari di controllo del metabolismo e dell’assorbimento dei grassi da parte del tessuto adiposo. Una possibile soluzione in tal senso arriva dallo studio degli scienziati dell’Universita’ Cattolica. “Il nostro studio arriva ad una conclusione diversa”, ha spiegato il ricercatore della Cattolica Giovambattista Pani: “p66 agirebbe da ‘sensore’ dei nutrienti, favorendo non solo l’accumulo di grasso nelle cavie, ma anche e soprattutto l’insorgenza di iperglicemia e diabete.
Infatti, topi obesi in cui questa proteina viene messa “KO” sono molto meno suscettibili allo sviluppo della malattia rispetto a topi obesi che pero’ hanno p66 funzionante”. Inoltre i topolini senza p66, benche’ obesi, vivono anche piu’ a lungo, a conferma del ruolo gia’ noto di p66 nell’invecchiamento.

L’eliminazione di p66 ricrea una situazione simile alla carenza di cibo o alla restrizione calorica, anche se gli animali continuano a mangiare a volonta'”, ha precisato Pani. Bloccando p66 si possano quindi ‘ingannare’ le cellule facendo loro percepire meno cibo di quello che si e’ realmente mangiato”. Ma attenzione, perche’ il blocco di p66 non preverrebbe tanto l’accumulo di grasso, ma solo le sue conseguenze negative sulla salute e la longevita’. Le osservazioni dei ricercatori della Cattolica aprono alla possibilita’ di utilizzare p66shc come bersaglio molecolare per nuove terapie contro il diabete.
“L’obiettivo finale e’ quello di bloccare p66 per prevenire/curare la malattia”, ha concluso Pani. “Si tratta di una applicazione futuribile ma non immediata. Nondimeno esistono gia’ degli inibitori di p66 al momento in corso di valutazione pre-clinica e il nostro studio continuera’ anche in quella direzione”.

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