Gli stent che riaprono le coronarie e diventano parte di esse

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Gli stent, le retine che riaprono i vasi sanguigni chiusi, e che se usate nelle coronarie salvano il cuore dall’infarto, sono metalliche. D’acciaio inossidabile. E una volta posizionate restano a vita. Nessun problema, ma pur sempre un corpo estraneo. Per questo la ricerca scientifica cercava da anni qualcosa di più naturale: una retina bio-riassorbibile, efficace e non tossica. Molte aziende, dopo ingenti investimenti, hanno lasciato perdere. Ogni materiale utilizzato o non sosteneva bene la parete del vaso o, peggio, favoriva un’infiammazione, causa poi di successivi danni. Soltanto un’azienda è andata avanti, arrivando ora alla soluzione. Così sembra. Prima i test su 30 pazienti, a partire dal luglio 2006. Poi altri 100. In Europa, Australia e Nuova Zelanda. Infine, visti i buoni risultati, la sperimentazione clinica su mille pazienti. Coordinatore dello studio internazionale è Antonio Bartorelli, cardiologo interventista dell’università degli studi di Milano e del Centro cardiologico Monzino. I primi due stent bio-riassorbibili impiantati in pazienti italiani li ha messi lui: il primo due settimane fa, il secondo in questi giorni. Già dimessi i pazienti, stanno bene e a casa.

Sono nello studio Absorb extend, che coinvolge cento centri in Europa, Canada, Medio- Oriente, Australia e Nuova Zelanda. Studio per l’agenzia del farmaco europea: Emea. «E’ una rivoluzione — dice Bartorelli — in un settore dove ne avviene una ogni dieci anni circa. La prima angioplastica (il catetere con un palloncino che riapre la coronaria chiusa causa di infarto) a Zurigo nel 1977 (il paziente è ancora vivo e il suo cuore funziona bene). La seconda con l’avvento degli stent, nel 1980, che hanno risolto il problema della ristenosi (richiusura del vaso dopo l’angioplastica), che nel 2002 sono diventati medicati (a rilascio di farmaco nel vaso). La terza, ora, con lo stent che scompare». Va bene il progresso, ma valeva la pena? «Il razionale —risponde Bartorelli—era arrivare a restaurare la normale integrità della parete arteriosa. Con il nuovo stent, abbiamo visto che la coronaria torna come prima, come quando era sana e non tenuta aperta da una gabbietta metallica dilatativa». Un paragone con un altro settore della medicina: quando si rompe una gamba viene applicato il gesso, quando l’osso si è risaldato il gesso si toglie. Così avviene con il nuovo stent. Continua Bartorelli: «Uno stent metallico medicato rilascia un farmaco che previene la proliferazione di tessuto che può dare una nuova stenosi, ma con il tempo c’è sempre un certo rischio di trombosi tardive a causa del corpo estraneo. Inoltre, nel caso si dovesse arrivare alla cardiochirurgia non è facile arrivare a ricostruire un vaso che contiene acciaio… ».

Che cosa accade quando si chiude una coronaria, un’arteria del cuore? Quando si ha un infarto? Il primo obiettivo, salva-vita, è riaprire il vaso. Con farmaci che sciolgono il tappo (trombolisi), con l’angioplastica (il catetere che con un «palloncino» ridilata il vaso) e poi mettendo una retina metallica (stent) che lo mantiene aperto. La gabbietta si usa anche quando si scoprono in anticipo vasi chiusi o semi-chiusi. O nel caso vi siano spasmi della coronaria, senza però una vera occlusione. Perché, quando si chiude l’arteria coronaria, il muscolo cardiaco resta senza sangue, senza ossigeno, e muore in quantità crescente in rapporto al tempo di «asfissia» cellulare. Più grave il danno, più difficile salvarsi. Il Bvs (Bioresorbable vascular scaffold), così si chiama il nuovo dispositivo, viene lentamente riassorbito dall’organismo una volta che non è più necessario tenere il vaso pervio. E’ costituito da acido polilattico, un polimero noto per la sua biocompatibilità, comunemente usato come materiale da sutura assorbibile. La novità è che, al momento dell’impianto, ha la stessa rigidità del metallo. Inoltre, come gli altri stent è «medicato».

Cioè rilascia un farmaco che impedisce, nel periodo iniziale, la formazione di trombi per reazione al corpo estraneo. Aggiunge Bartorelli: «Si chiude un cerchio nella cardiologia interventistica: curare la coronaria senza lasciare alcuna traccia nel giro di due anni». E il rischio che la coronaria si richiuda? Non c’è un ritorno elastico dell’arteria, che invece la gabbietta metallica evita? «No, nei primi casi ormai risalenti a 4 anni fa dopo un minimo restringimento vi è stata una ridilatazione. Ora vedremo nei prossimi mille». Al Monzino, per verificare lo stato delle coronarie e lo stent che sparisce, è stata anche messa in funzione una nuova tecnologia di imaging: la Tomografia a coerenza ottica (Otc), un catetere con una luce di particolare lunghezza d’onda che visualizza la parete interna dell’arteria, si vede lo stent (che non essendo di metallo è totalmente invisibile ai raggi X) e via via la sua scomparsa. Si vede anche lo stato di salute della parete del vaso, in profondità. E, poiché non resta in loco una protesi permanente, si vedono i vasi trattati riprendere mobilità, flessibilità e pulsatilità come da sani. Ovviamente, c’è molta attenzione anche da parte dei concorrenti, produttori di stent medicati metallici. Il mercato è, infatti, pari a 5 miliardi di dollari all’anno.

Corriere.it

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