La distrofina non ha solamente un ruolo strutturale rispetto alla membrabna cellulare, ma anche una funzione di controllo sull’espressione di geni che influiscono sullo sviluppo della malattia

Comportamento “intelligente” e non semplicemente meccanico per la distrofina, proteina che manca nei pazienti affetti da distrofia muscolare di Duchenne. La sua funzione nella cellula sembrerebbe infatti più complessa rispetto a quella finora ipotizzata.

A rivelarlo, un articolo apparso sulla rivista Cell Metabolism, è il gruppo di ricerca dell’ Università di Roma Sapienza diretto da Irene Bozzoni. Lo studio fornisce nuovi elementi nella comprensione dei meccanismi di questa grave malattia genetica e suggerisce strategie terapeutiche del tutto innovative.

Nelle persone affette da distrofia di Duchenne si assiste alla morte progressiva delle fibre muscolari, prima a livello di gambe e braccia, poi anche a carico di cuore e apparato respiratorio: questo perché a causa di un difetto genetico le cellule non sono in grado di produrre la distrofina, proteina localizzata sulla superficie delle cellule muscolari in associazione con una serie di altre proteine.

Fino a oggi i ricercatori pensavano che la distrofina svolgesse un ruolo puramente meccanico, ovvero che la sua assenza rendesse la membrana più fragile a ogni contrazione e più permeabile a fattori tossici esterni. Con il tempo questo fenomeno porta alla morte delle fibre muscolari e di conseguenza all’instaurarsi di un processo infiammatorio cronico, che a poco a poco sostituisce il muscolo con vere e proprie cicatrici di tessuto fibroso incapaci di contrarsi.

Quello che invece ha dimostrato il gruppo di Irene Bozzoni è che, accanto a questo ruolo strutturale, la distrofina ha anche una funzione più sofisticata, quella di controllare l’attività di altri geni che hanno un ruolo rilevante nello sviluppo della malattia. In particolare si tratta di geni che contengono le informazioni per piccoli RNA (microRNA) capaci di controllare in modo molto preciso alcuni fenomeni rilevanti nella patogenesi della distrofia quali lo stress ossidativo e la fibrosi.

A conferma di quanto questi microRNA siano importanti, Bozzoni e collaboratori hanno dimostrato come topi distrofici trattati con una terapia in grado di ripristinare soltanto il 10 per cento della quantità fisiologica di distrofina stessero bene anche dopo due anni. Quella piccola quantità di proteina è infatti sufficiente per ripristinare livelli normali di microRNA e quindi un corretto controllo dei geni responsabili della fibrosi e dello stress ossidativo.

Il gruppo di ricerca ha quindi identificato per la prima volta il processo attraverso cui la distrofina sia in grado di accendere specifici geni necessari per mantenere in salute i muscoli. Quando questo ruolo “dirigenziale” viene meno, la cellula muscolare si ammala progressivamente. Oltre a dare un grosso contributo alla comprensione della patogenesi di una malattia complessa come la distrofia di Duchenne, questa scoperta suggerisce nuove possibili strategie terapeutiche.

«Una volta compreso meglio il funzionamento di questi piccoli RNA» – spiega Irene Bozzoni – «potremo valutarne il potenziale terapeutico, ovvero se potranno essere utilizzati come farmaci intelligenti in grado di mettere le cellule muscolari sulla strada giusta». Farmaci di questo tipo avrebbero infatti il vantaggio di agire in maniera molto specifica e di esercitare un effetto anche in piccole quantità.

«Bisogna però trovare una modalità di somministrazione specifica, per far agire queste molecole solo nelle cellule muscolari», continua la Bozzoni. «A ogni modo la strada verso la terapia della distrofia di Duchenne passa necessariamente per un approccio combinato, che affianchi più trattamenti capaci nell’insieme di mantenere sane le cellule muscolari e per far sì che raggiungano il corretto livello di maturazione».

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