Il quadro della genetica di questa neoplasia ora è pressoché completo e potrebbe permettere lo sviluppo di nuove strategie terapeutiche

Viene indicato con la sigla PBRM1 il gene la cui mutazione è presente in un caso su tre di una comune forma neoplastica che colpisce il rene, secondo una nuova ricerca svoltasi presso il Wellcome Trust Sanger Institute con la collaborazione del Van Andel Research Institute e del National Cancer Centre di Singapore.

“Fino a tempi recenti, molti degli studi sulla genetica del carcinoma renale coinvolgevano il VHL, un gene mutato in otto pazienti su 10”, ha spiegato Andy Futreal, codirettore del Cancer Genome Project del Wellcome Trust Sanger Institute. “Sapevamo che in ogni caso dovevano essere coinvolti altri geni.”

Un recente lavoro di Futreal e colleghi aveva individuato tre mutazioni genetiche associate al carcinoma renale in grado di alterare la cromatina, una sorta di impalcatura che tiene insieme il DNA nelle cellule, e di conseguenza di influenza i meccanismi di replicazione e di riparazione dello stesso genoma.

Tutto sembra svolgersi in una piccola regione del cromosoma 3: il gene PBRM1 è legato a due altri geni già indicati come coinvolti nell’insorgenza del carcinoma renale: lo stesso VHL e il SETD2. La localizzazione suggerirebbe, secondo gli autori dello studio, che il tumore sembra sfruttare la nostra biologia, riducendo il numero di eventi genetici necessari per inattivare tutti e tre i geni. Esiste inoltre un significativo numero di sovrapposizioni: molti pazienti sono portatori di due se non di tutte e tre le mutazioni.

“Nel corso dell’ultimo anno, la nostra comprensione di come si sviluppa il tumore del rene era già notevolmente migliorata, grazie all’identificazione di questi tre geni mutati, ciascuno dei quali dà un piccolo contributo all’insorgere della patologia”, ha aggiunto Mike Stratton, direttore del Sanger Institute. “La scoperta delle mutazioni a carico del gene PBRM1 in uno su tre casi di tumore del rene è un ulteriore progresso, soprattutto perché chiarisce che l’insorgenza della neoplasia passa per un deficit strutturale della cromatina. Il quadro ora è pressoché completo e potrebbe permettere lo sviluppo di nuove strategie terapeutiche.”

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