L’occhio umano percepisce le lunghezze d’onda comprese fra i 700 nanometri e i 400 nanometri circa, ma le renne sono in grado di vedere fino ai 350-320 nanometri


Le renne dell’artico sono in grado di vedere al di là dello spettro della luce “visibile” fino all’ultravioletto vicino. A stabilirlo è stato uno studio condotto da ricercatori della Queen Mary University di Londra e dell’University College di Londra, che lo lllustrano in un articolo pubblicato su The Journal of Experimental Biology.

I ricercatori ritengono che la visione UV possa essere utile alle renne per distinguere il cibo e i predatori nel bianco onnipresente dell’inverno artico e nella fioca luce della primavera e dell’autunno.

Grazie alla capacità di assorbire gli ultravioletti, agli occhi delle renne i licheni, che costituiscono l’alimento di questi animali, dovrebbero apparire neri e pure il tradizionale predatore delle renne, il lupo, dovrebbe stagliarsi più scuro e meglio identificabile sullo sfondo della neve. Anche l’urina apparirebbe più distinguibile grazie alla visione UV, avvertendo gli animali della presenza di altre renne o di predatori.

L’occhio umano ha la capacità di percepire le lunghezze d’onda comprese fra i 700 nanometri circa, che corrispondono al rosso, e i 400 nanometri, che corrispondono al violetto. Le renne sono in grado di vedere invece fino ai 350-320 nanometri e non sembrano subire alcun danno da questa capacità.

“Gli esseri umani e buona parte degli altri mammiferi non possono farlo, dato che cornea e cristallino ostacolano il passaggio degli UV. In presenza di una grande quantità di raggi ultavioletti, come alle alte latitudini e particolarmente quando c’è la neve, questi raggi possono danneggiare gli occhi. Nel bloccare la luce UV per impedire che raggiunga la retina, la cornea e il cristallino possono assorbire tanta enegia da rimanere temporaneamente ‘bruciati’. La parte anteriore dell’occhio diventa opaca: si tratta della cecità da neve, una condizione solitamente reversibile, ma anche molto dolorosa, che ha un ruolo vitale per proteggere la nostra sensibile retina da un danno potenziale”, ha detto Glen Jeffery, che ha diretto la ricerca.

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