Rumore elettronico: da disturbo a vantaggio grazie ad un virus

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Un nuovo studio ha permesso di dimostrare per via teorica come sfruttare il rumore elettronico per controllare un costituente di base di un computer, una porta che può essere commutata tra due diverse funzioni logiche utilizzando un sistema geneticamente ingegnerizzato derivato dal DNA di un virus.

Per l’uomo comune il termine rumore è sinonimo di fastidio, ma per i circuiti elettronici si tratta di un elemento di grave disturbo e di diminuzione delle prestazioni, costituito da fluttuazioni casuali e  generato da fonti ambientali, come per esempio il calore. Si tratta di una presenza inevitabile e anzi sempre più problematica via via che procede la miniaturizzazione dei circuiti stessi.

Ma “se non puoi vincere sul tuo avversario, fattelo amico”, dice il proverbio. È così che un gruppo di ingegneri dell’Arizona State University a Tempe in collaborazione con lo Space and Naval Warfare Systems Center (SPAWAR) di San Diego, in California, sta sfruttando il rumore elettronico per controllare un costituente di base di un computer, una porta logica che può essere commutata tra due diverse funzioni logiche del tipo AND\OR utilizzando un sistema geneticamente ingegnerizzato derivato dal DNA di un virus.


In un articolo in via di pubblicazione sulla rivista Chaos, il gruppo ha dimostrato, per via teorica, che sfruttando le fonti di rumore esterno è possibile controllare la commutazione della rete tra differenti funzioni logiche in modo stabile e affidabile.

Gli studiosi in quest’ultima ricerca si sono concentrati su network a singolo gene in un batteriofago λ che sovrintende alla produzione di una particolare proteina del virus: alterando l’equilibrio di questa reazione biologica si interviene sulla concentrazione della proteina stessa, che risulta essere troppo elevata o troppo bassa. Manipolando la concentrazione della proteina, il gruppo ha così potuto codificare i valori di input della porta logica, assegnando un “1” a una certa concentrazione e “0” all’altra, per ottenere i desiderati valori di output.

I ricercatori hanno modellizzato il sistema come due buche di potenziale separate da una “collinetta”, corrispondente a una barriera di energia. In presenza di troppo rumore, il sistema non finisce mai in una delle due buche, rendendo l’output imprevedibile.

Troppo poco rumore, d’altra parte, non fornisce la spinta necessaria perché il sistema raggiunga una concentrazione di proteina sufficientemente alta affinché il sistema possa superare la barriera di potenziale; in questo caso, c’è anche un’alta probabilità che la porta logica biologica non riesca a effettuare la computazione prevista. Una quantità ottimale di rumore, viceversa, stabilizza il circuito, rendendo possibile il “salto” e la permanenza del sistema nella buca di potenziale corretta.

Questo lavoro – concludono i ricercatori – offre in definitiva la possibilità di sfruttare il rumore nei circuiti biologici invece di considerarli una curiosità di laboratorio o un disturbo.

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