Tecnica nanoscopica assembla la più piccola unità di memoria, composta da 12 atomi

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Grazie a una tecnica nanoscopica, è stato possibile costruire schemi regolari di atomi di ferro, allineandoli in righe di sei atomi ciascuna, realizzando la più piccola unità di memoria che funzioni ancora secondo le leggi della fisica classica: con essa è possibile memorizzare un byte in soli 96 atomi, contro i 500 milioni di atomi degli attuali hard disk per computer.

Utilizza solo 12 atomi per bit e comprime un intero byte (8 bit) in soli 96 atomi: queste le strabilianti caratteristiche della più piccola unità magnetica di immagazzinamento dati mai realizzata, frutto di uno studio dell’IBM in collaborazione con il German Center for Free-Electron Laser Science (CFEL). Un hard disk attuale, per confronto, richiede mezzo miliardo di atomi per byte.

Ma la cosa forse più eclatante dell’articolo pubblicato sulla rivista “Science” è che l’unità è stata costruita atomo per atomo con l’aiuto di un microscopio a scansione a effetto tunnel (STM) presso l’Almaden Research Center di San Jose, in California. I ricercatori hanno costruito schemi regolari di atomi di ferro, allineandoli in righe di sei atomi ciascuna. Poiché due righe sono sufficienti a memorizzare un bit, otto coppie di righe di atomi consentono di memorizzare un byte, utilizzando un’area di 4 x 16 nanometri.

Rappresentazione grafica dell’assemblaggio atomo per atomo dell’unità antiferromagnetica di memoria mediante la punta di un microscopio a scansione a effetto tunnel. Gli atomi di ferro vengono posti su una superficie di nitruro di rame e legati con atomi di azoto (barre blu) in uno schema regolare e spaziate da un atomo di azoto (in giallo). (Sebastian Loth/CFEL)

Le coppie di righe di atomi possono trovarsi in due possibili stati magnetici, che rappresentano in due valori classici del bit 0 e 1. un impulso elettrico della punta dell’STM consente di commutare la configurazione magnetica da un valore all’altro. Un impulso più debole permette poi di leggere la stessa configurazione, sebbene i nanomagneti siano stabili, attualmente, solo a temperature prossime a 5 Kelvin. Ma i ricercatori confidano che con circa 200 atomi si riesca a ottenere la stabilità a temperatura ambiente, e per questo un utilizzo pratico del dispositivo è ancora di là da venire.

 

Per la prima volta inoltre, i ricercatori hanno sfruttato una forma speciale di magnetismo per la memorizzazione dei dati, denominata antiferromagnetismo. A differenza del ferromagnetismo, che è utilizzato negli hard disk convenzionali, gli spin degli atomi all’interno del materiale antiferromagnetico sono allineati in senso opposto, rendendo il materiale magneticamente neutro. Ciò implica che le schiere di atomi antiferromagnetiche possono essere avvicinate molto di più che nel caso ferromagnetico, senza timore che possano interferire le une con le altre. È per questo che i ricercatori sono riusciti a impacchettare i bit a distanza estremamente ravvicinata.

“Considerando la miniaturizzazione dei componenti elettronici, il nostro intento è capire se ci si può inoltrare nel regno dei singoli atomi”, ha commentato Loth. Ma invece di partire dall’alto per poi procedere alla miniaturizzazione dei componenti – secondo il ben noto approccio top down – gli studiosi hanno deciso di procedere in senso inverso – secondo l’approccio bottom up – appunto realizzando l’unità di memorizzazione a partire dai singoli atomi.

“Abbiamo cercato di determinare quanto grande debba essere l’unità per raggiungere il regno della fisica classica”, ha concluso Loth. “E la soglia minima sembra essere proprio di 12 atomi. Oltre questa soglia, gli effetti quantistici rovinano l’informazione memorizzata”.

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