La musica mantiene il cervello giovane: il segreto dei geni del pentagramma

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La musica mantiene giovani. Almeno a livello mentale. E’ questo il segreto delle leggende del rock, ancora sulla cresta dell’onda a 60 anni, o dei cantautori dalle carriere infinite. Da Mick Jagger in giù.

Parola di scienziati. La formazione musicale continua ha un impatto sul processo di invecchiamento. Uno studio americano della Northwestern University, pubblicato online sul ‘Journal Neurobiology of Aging’, mostra anche le prove biologiche di questo effetto positivo.
Gli autori – ricercatori dell’Auditory Neuroscience Laboratory – hanno infatti misurato le risposte automatiche del cervello di musicisti giovani e anziani e di non musicisti. E hanno scoperto che gli artisti più in là con l’età hanno un distinto vantaggio in termini di tempi neurali. “Non solo vantano delle prestazioni migliori rispetto ai coetanei non musicisti, ma riescono a codificare gli stimoli sonori tanto velocemente e accuratamente quanto un giovane non musicista”, spiega Nina Kraus, neuroscienziata della Northwestern University e coautrice dello studio. “Questo risultato non fa che rafforzare la teoria secondo cui avere un’esperienza con la musica e con i suoni nel corso della propria vita ha un profondo effetto sul funzionamento del nostro sistema nervoso”.

I musicisti reclutati per la ricerca, precisano gli scienziati, hanno iniziato la formazione all’età di 9 anni e sono stati costantemente impegnati durante la loro vita in attività musicali, mentre i ‘non musicisti’ avevano alle spalle 3 anni o meno di formazione musicale. La scoperta lancia l’idea che il cervello possa essere allenato a compensare in parte per esempio la perdita di udito legata all’avanzare dell’età. Altre ricerche supportano questa ipotesi.
Messe insieme, tutte le evidenze raccolte suggeriscono che un ‘allenamento mentale intensivo’ anche in tarda età potrebbe migliorare l’elaborazione del linguaggio negli anziani e le loro capacità di comunicare, anche in ambienti complessi e rumorosi.
L’Auditory Neuroscience Laboratory di Kraus indaga da tempo su questi fenomeni e in precedenti ricerche ha messo in evidenza la capacità di compensare le perdite di memoria e le difficoltà nel sentire, due esperienze comuni agli anziani. Altro campo indagato è quello degli effetti dell’esperienza musicale sulla plasticità del cervello.
Tuttavia, in relazione all’ultimo studio, Kraus avverte del fatto che la ricerca non dimostra che i musicisti hanno un vantaggio neurale in ogni reazione ai suoni. Mostra invece che l’esperienza musicale incide selettivamente sui tempi neurali in risposta a elementi del ritmo. Abilità che sono importanti per distinguere una consonante da un’altra. La cosiddetta ‘risposta neurale automatica’ ai suoni del linguaggio è stata verificata su 87 persone udenti, adulte e di madre lingua inglese. Le misurazioni sono state eseguite con video sottotitolati.(ADNKRONOS)

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