Un farmaco che attivi cellule buone che bruciano energia: il grasso bruno

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Studio di un ricercatore italiano alla Columbia: il principio del tiazolide trasforma l’adipe bianco in quello bruno, dando vita a un meccanismo che consuma i chili in eccesso. Ma è ancora lontano l’utilizzo sugli uomini che, intanto, possono usare il freddo invernale per ottenere risultati simili

NELLA LOTTA contro l’obesità, il grasso può rivelarsi un alleato inaspettato. Esiste infatti nel nostro organismo una rara categoria di cellule adipose che si comporta come una pietra filosofale: brucia calorie e aiuta a ridurre il peso corporeo.

La scoperta che gli uomini ospitano riserve di questo “grasso bruno”, capace di andare controcorrente rispetto al “grasso bianco” in cui invece le calorie vengono accumulate, risale al 2009. Oggi però vari laboratori nel mondo stanno imparando ad attivare a comando il meccanismo “brucia energia”, con l’obiettivo di consumare i chili in eccesso.

L’ultimo contributo arriva oggi da un ricercatore italiano che lavora alla Columbia University di New York, Domenico Accili. In uno studio pubblicato sulla rivista Cell, Accili e il suo gruppo descrivono un farmaco capace di “tingere di marrone” le cellule del grasso bianco, trasformandole da depositi passivi di calorie in caldaie capaci di bruciare l’energia in eccesso.

Il farmaco, che fa parte della classe delle tiazolidine, ha l’effetto di aumentare la sensibilità dell’organismo all’ormone insulina. I suoi effetti collaterali sono ancora troppo pesanti per pensare a un utilizzo come dimagrante, ma la ricerca di New York ha aperto una strada che un giorno potrà dare i frutti importanti. “Trasformare il grasso bianco in grasso bruno è un approccio terapeutico molto interessante per frenare l’epidemia di obesità nel mondo” conferma Accili. “Prima però dobbiamo riuscire a modificare l’azione delle tiazolidine”. Eliminandone gli effetti collaterali.

Una strada più diretta (anche se meno confortevole) per attivare il grasso bruno presente nel nostro organismo l’hanno scoperta alla Harvard Medical School e al Joslin Diabetes Center di Boston i ricercatori Ronald Kahn e Aaron Cypess, fra i pionieri di questo nuovo filone della medicina. “Basta abbassare il termostato d’inverno e lasciare che a riscaldarci sia il nostro grasso bruno anziché la caldaia” spiega in tutta semplicità Kahn.

Sembrerebbe la scoperta dell’acqua calda, ma quando i ricercatori di Boston hanno tenuto al freddo un gruppo di volontari (19 gradi solo con una divisa da infermiere di cotone per un paio di ore consecutive) hanno misurato una forte attivazione di questo tessuto, la cui funzione principale è proprio quella di aumentare la temperatura del corpo bruciando calorie.

“Il grasso bruno – spiega Kahn – è presente in grandi percentuali nei neonati e li aiuta a combattere il freddo. Gli adulti ne conservano alcune decine di grammi tra le scapole e il collo. Se è continuamente attivato, questo tessuto riesce a bruciare tra le 300 e le 400 calorie al giorno”. Ovvero quanto una generosa sessione di sport. Perché la “centrale termica” del nostro corpo funzioni a dovere, però, è necessario esporsi a temperature fresche senza vestiti pesanti. “Uno studio giapponese – prosegue il ricercatore di Boston – ha dimostrato che negli anni ’50 il consumo di calorie era molto più alto in inverno rispetto all’estate. Lo stesso esperimento, ripetuto vent’anni più tardi, ha dato differenze meno nette tra una stagione e l’altra. La discrepanza può essere spiegata con la diffusione del riscaldamento oggi rispetto agli anni del dopoguerra”.

Neanche il freddo, nelle persone obese, riesce però ad attivare il grasso bruno. “Non è chiaro se questo tessuto sia assente o sia semplicemente poco attivo” spiega Kahn. Né, data la gioventù di questo campo di studi, è stato possibile stabilire se l’obesità sia la causa oppure la conseguenza della mancata attività del grasso bruno. Ma che l’anello debole della catena di questo meccanismo brucia-calorie si trovi proprio tra le persone sovrappeso è un problema non da poco. E questo ha spinto i ricercatori come Accili a cercare un farmaco che simuli l’azione del freddo sul metabolismo. Senza bisogno di arrivare ad avere la pelle d’oca.

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