Test del sangue per individuare letali depositi di calcio

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Un nuovo test è in grado di individuare i depositi di Calcio nei tessuti e vasi sanguigni che possono essere rischio di calcificazione: una condizione che può essere letale
I depositi di Calcio nei tessuti e vasi sanguigni possono essere molto pericolosi. Uno dei più comuni sviluppi è una malattia, o insufficienza renale cronica. Questa condizione sarebbe causa della cosiddetta calcificazione cardiovascolare, condizione che sta dietro alle malattie cardiache che spesso portano alla morte.
Laddove si presentino anomali e alti livelli di Calcio nel sangue, in genere vi è una compromessa funzione renale, o anche il risultato di cure farmacologiche.

Il problema principale è che, allo stato attuale, non esistono strumenti per determinare il rischio di calcificazione cardiovascolare. Le persone che potrebbero presentare questa condizione spesso non ne sono a conoscenza, e ci si accorge di tutto ciò quando si verifica un evento cardiovascolare. Da qui l’importanza di sviluppare strumenti diagnostici per prevenire e trattare questa pericolosa condizione. Questo è stato appunto il tema di uno studio pubblicato sul Journal of the American Society of Nephrology.

I ricercatori svizzeri dell’Ospedale Universitario Inselspital e l’Università di Berna, coordinati dal dottor Andreas Pasch, hanno così sviluppato un pioneristico test che, partendo dall’analisi del sangue di un modello animale e di pazienti con insufficienza renale cronica (CKD), ha permesso di scoprire che entrambi presentavano un deficit di una proteina che inibisce la calcificazione del sangue. Da questi risultati si è pertanto dedotto che i pazienti affetti da CKD presentano una ridotta capacità di limitare la calcificazione, al contrario ci ciò che avviene nei pazienti sani.

«Il nostro test – spiega Pasch nel comunicato UB – può identificare i pazienti a rischio per lo sviluppo di calcificazione, e può diventare uno strumento importante per identificare e testare gli inibitori della calcificazione, costituendo la base per il monitoraggio del trattamento in pazienti che ricevevano tali inibitori».
(La Stampa.it)

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