SIPPS, integrazione e disabilità. Studiare è un diritto. Di tutti

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SIPPSRoma, 5 aprile 2013 – Il caso di Torino della bambina di 11 anni ipovedente a cui è stata prima negata e poi concessa l’iscrizione alla scuola media – grazie all’intervento del Ministro Profumo – ha riacceso, a livello  nazionale, le già forti polemiche sul diritto all’integrazione degli alunni portatori di handicap, un processo che caratterizza da quasi trent’anni la scuola italiana.

“Al nostro Paese va riconosciuto certamente il primato normativo in materia di handicap – sostiene il dottor Giuseppe Di Mauro, Pediatra e Presidente della Società di Pediatria Preventiva e Sociale (SIPPS) – ma di fatto tra la norma e la pratica sussiste un gap temporale notevole e quando l’attuazione normativa si realizza formalmente, continuano ad esistere realtà che attestano difficoltà organizzative, sociali, istituzionali, pratiche che rendono talvolta vano o parzialmente tale il diritto all’istruzione e all’integrazione degli alunni diversamente abili in tutti gli aspetti della società”.

“Noi pediatri della SIPPS – prosegue Di Mauro – ribadiamo ancora una volta il diritto di ogni essere umano a ricevere accoglienza e cura in modo da vivere con dignità. Oltre al grande valore educativo che assumono anche per i bambini normodotati, l’inserimento e l’integrazione delle persone disabili nella società non possono prescindere dal loro diritto all’istruzione e alla formazione”.

Se in Italia è con la Riforma Gentile del 1923 che si introduce per la prima volta una disposizione normativa riguardante l’inserimento di bambini “portatori di deficit” nella scuola, è con la legge quadro 104/92 che si arriva finalmente ad affermare il diritto per tutti gli alunni in situazione di handicap (anche grave) a frequentare le classi comuni delle scuole di ogni ordine e grado (scuola materna, elementare, media e superiore).

In realtà la legge parla chiaro: la scuola non può rifiutare le iscrizioni neanche nel caso in cui esse siano superiori alla capacità ricettiva della scuola e se lo fa commette un illecito penale. Un aspetto fondamentale della legge 104 del 1992 è che per la prima volta si parla di integrazione e non soltanto di inserimento. Il bambino diversamente abile non è soltanto inserito fisicamente nella classe e nella scuola, ma è necessario che sia pienamente integrato nel gruppo dei suoi coetanei e della scuola stessa per essere reso partecipe di ogni attività, nel rispetto di quelle che sono le sue possibilità di interazione.

“E’ fondamentale  – afferma Di Mauro – che i servizi scolastici siano programmati in accordo con quelli sanitari, socio-assistenziali, culturali, ricreativi e sportivi e che, più in generale, nelle scuole vengano rispettate alcune regole necessarie per il corretto sviluppo dei bambini diversamente abili:

  • la scuola deve realizzare un’opera educativa e didattica che sia differenziata, individualizzata e personalizzata per tutti gli alunni;
  • gli insegnanti dovrebbero sempre fare in modo che il bambino con handicap non si senta mai escluso dalla quotidianità della classe, vivendo a stretto contatto con i propri coetanei e partecipando attivamente alla vita scolastica, all’interno della classe e non fuori da questa;
  • il bambino diversamente abile non dovrebbe essere seguito soltanto dall’insegnante di sostegno, ma tutti gli insegnanti dovrebbero interagire con lui, esattamente come fanno con gli altri bambini;
  • la figura dell’insegnante di sostegno dovrebbe essere vista, all’interno della classe, come un’ulteriore risorsa a cui tutto il gruppo può attingere;
  • nella scuola è necessaria anche la figura dello psico-pedagogista, che dovrebbe essere consultata e coinvolta dal team dei docenti e dalla famiglia del bambino, e poter entrare nel merito della quotidianità scolastica, condividendo, così, il suo percorso educativo e sociale.

L’integrazione nella scuola dei bambini diversamente abili non è soltanto un atto spontaneo di  bontà, ma anche un dovere al quale nessuno deve sottrarsi, tale dovere dovrebbe, inoltre, essere avvertito come una responsabilità etica, morale e come un sentimento di assoluta solidarietà e partecipazione.

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