Insufficienza cardiaca: la cura efficace si potrebbe trovare in una molecola del cuore

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I ricercatori guidati dell’Indiana University School of Medicine hanno scoperto un composto cardiaco che potrebbe portare a nuovi trattamenti per l’insufficienza cardiaca, la grave malattia che è causa di molti decessi.

L’insufficienza cardiaca, o scompenso, è un grave malattia che potrebbe essere curata dal cuore stesso.
Non si finisce mai di scoprire nuove meraviglie del corpo umano che ancora non erano conosciute, e che da un lato suggeriscono che spesso la soluzione che stavamo cercando era lì, proprio dentro noi. E’ il caso di una molecola del cuore che non si conosceva e che, secondo un nuovo studio appena pubblicato su Nature, potrebbe essere la chiave per il trattamento dell’insufficienza cardiaca.

Questa grave patologia – conosciuta anche come scompenso cardiaco – è caratterizzata dall’incapacità del cuore di pompare sangue a sufficienza per assicurare un buon funzionamento dell’organismo e la sopravvivenza dello stesso. Non a caso, i pazienti affetti da insufficienza cardiaca grave rischiano la morte.

Ora, i ricercatori dell’Indiana University School of Medicine hanno trovato che c’è una molecola che fornisce al cuore gli strumenti per bloccare una proteina che orchestra le disgregazioni genetiche quando il cuore è sottoposto a stress, come l’elevata pressione sanguigna.

Il team di ricerca, guidato da Ching-Pin Chang, professore associato di medicina presso la Facoltà di Medicina dell’Università dell’Indiana, ha scoperto che quando i livelli della molecola appena scoperta sono stati riportati alla normalità nei modelli animali con insufficienza cardiaca, la progressione della malattia è stata bloccata.

Questa molecola è conosciuta come RNA lungo non codificante. Il ruolo abituale degli RNA è quello di portare le istruzioni, ossia il codice, dal DNA nel nucleo di una cellula al meccanismo della cellula che produce le proteine necessarie per le attività cellulari. Negli ultimi anni, gli scienziati hanno scoperto diversi tipi di RNA che non sono coinvolti nella codifica delle proteine, ma che agiscono per conto proprio. Il ruolo nel cuore dell’RNA lungo non codificante è rimasto tuttavia sconosciuto.

La nuova scoperta dei ricercatori mostra che questo RNA non codificante non conosciuto prima, e che hanno chiamato “MyHeart” (per via dell’associazione catena pesante miosina RNA trascritto), è responsabile per il controllo di una proteina chiamata BRG1 (o berg-1). Detta proteina era già stata trovata da Chang e colleghi giocare un ruolo cruciale nello sviluppo del cuore nel feto.

Quando tuttavia il cuore cresce, maturando nella sua forma adulta, la proteina BRG1 non è più necessaria, per cui viene prodotta in quantità ridotte. Tutto questo soltanto finché le cose per il cuore vanno come dovrebbero, e cioè fino a che il cuore adulto non è sottoposto a notevole stress, come quello da pressione arteriosa alta, o ai danni causati da un attacco di cuore.
In questi casi, come scoperto in precedenza dai ricercatori, BRG1 rifà la sua comparsa e comincia ad alterare l’attività genetica del cuore, che porta all’insufficienza cardiaca. Allo stesso tempo, la produzione di MyHeart viene soppressa, così BRG1 può agganciare il DNA e alterare il materiale genetico.

I risultati dei test condotti in laboratorio hanno confermato che MyHeart, quando ripristinata a livelli normali, è in grado di bloccare l’azione dannosa di BRG1 e impedire lo sviluppo o la progressione dell’insufficienza cardiaca. L’unico ostacolo, ora, è quello costituito dalla grandezza di questa molecola, che se andava bene per i modelli animali la stessa cosa non vale per gli esseri umani. Per questo motivo, Chang e colleghi ora stanno lavorando al fine di identificare porzioni più piccole di MyHeart per poterle utilizzare in trial clinici sull’uomo.
«Penso a MyHeart come a una sorta di piede di porco molecolare che tira BRG1 fuori dal DNA genomico e gli impedisce di manipolare l’attività genetica», conclude il prof. Chang.

Oltre al dottor Chang e Pei Han, primo autore dello studio, altri autori dello studio sono: Li Wei, Jin Yang e Chen Peng-Sheng della Scuola di Medicina UI; Chiou-Hong Lin, Ching Shang, Sylvia T. Nuernberg, Kevin Kai Jin, Xu Weihong, Chieh-Yu Lin, Lin Chien-Jung, Yiqin Xiong, Huan-Chieh Chien, Euan Ashley, Daniel Bernstein e Thomas Quertermous della Stanford University Facoltà di Medicina; Bin Zhou del Albert Einstein College of Medicine; e Huei-Vincent Chen Sheng del Sanford/Burnham Medical Research Institute.
La ricerca è stata finanziata dalla American Heart Association (AHA Established Investigator Award 12EIA8960018); il National Institutes of Health (NIH; HL118087, HL121197, HL109512, HL105194, HL78931, HL71140, HL116997, HL111770); California Institute of Regenerative Medicine (CIRM; RN2-00909, RB2-01512, RB4-06276); Stanford Heart Center Research Program; la Facoltà di Medicina UI-UI Health Strategic Research Initiative; the IU Physician-Scientist Initiative, endowed by Lilly Endowment; la Lucile Packard Foundation for Children’s Health; il March of Dimes Foundation (# 6-FY11-260); la Fondazione Oak; e la Fondazione Baxter.

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