Scoperta una nuova categoria di grassi buoni

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cellule adipe

Gli acidi grassi FAHFA proteggono dall’insulino-resistenza, una condizione che prelude all’insorgenza del diabete di tipo 2. Scoperti originariamente nei topi geneticamente modificati, sono prodotti anche dall’organismo umano e un loro riequilibrio potrebbe rappresentare una nuova strada per prevenire il diabete.

Non tutti i grassi fanno male alla salute: alla ristretta schiera dei lipidi benefici, che comprende già gli omega 3, si aggiunge ora una nuova classe di molecole, i FAHFA (fatty acid hydroxyl fatty acids). Descritti sulle pagine della rivista “Cell” da un gruppo di ricercatori guidati da Barbara Kahn, dell’Università di Harvard, potrebbero aprire una nuova strada nella prevenzione del diabete di tipo 2. A differenza degli omega-3, i FAHFA hanno il vantaggio di essere prodotti dall’organismo umano, si tratterebbe pertanto di ripristinare i suoi livelli corretti a scopo terapeutico.

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Il momento decisivo per arrivare all’individuazione di questa nuova classe di lipidi è stata la creazione, alla fine degli anni novanta, di uno specifico modello animale nel laboratorio di Kahn, il modello murino AG4OX (adipose-specific GLUT-4 overexpressing mouse model). Si trattava di topi geneticamente modificati in modo che esprimessero livelli più elevati di molecole di trasporto del glucosio, denominate GLUT-4.

Un paziente diabetico misura il proprio livello glicemico: la nuova categoria di grassi potrebbe essere di grande aiuto per la prevenzione della malattia (© Hero Images/Corbis)

La creazione di questo modello era dovuta all’osservazione che nelle loro cellule adipose degli esseri umani insulino-resistenti, cioè più a rischio di sviluppare diabete e disturbi metabolici, c’è un livello più basso del normale proprio delle GLUT-4.

Con sorpresa, i ricercatori hanno scoperto che la semplice sovraespressione delle GLUT-4 nei topi era sufficiente ad aumentare la tolleranza al glucosio e proteggere i roditori dal diabete, anche se erano obesi. Nel corso degli anni, si è osservato che questi stessi topi hanno elevati livelli di acidi grassi, generalmente associati con l’insulino-resistenza e l’intolleranza al glucosio: in qualche modo, i topi AG40X erano immuni da questi effetti, rimanendo sensibili al glucosio e in grado di controllare gli zuccheri nel sangue.

La scoperta dei FAHFA è arrivata infine conducendo sui topi AG40X una sofisticata analisi denominata spettrometria di massa lipodomica. “Si tratta di una tecnologia che consente di quantificare centinaia di lipidi in un campione biologico utilizzando il peso molecolare di un lipide come mezzo per determinare la sua presenza in una cellula o un tessuto”, ha spiegato Saghatelian.

Esaminando i risultati delle analisi, hanno scoperto un gruppo di quattro lipidi i cui livelli erano da 16 a 18 volte superiori nei topi AG40X rispetto a quelli normali. Queste nuove molecole non erano tuttavia comprese nei database dei lipidi conosciuti: si trattava di una nuova classe di grassi, la cui struttura è stata identificata con ulteriori ricerche.

Ulteriori sperimentazioni hanno dimostrato che somministrando ai topi i FAHFA in alte quantità, il risultato era un rapido e drastico calo dei livelli di zuccheri nel sangue e un incremento dell’insulina. A ulteriore conferma, le analisi condotte sugli esseri umani insulino-resistenti hanno evidenziato livelli di FAHFA dal 50 al 75 per cento inferiori rispetto a soggetti con sensibilità insulinica normale. Inoltre, gli autori hanno individuato i recettori cellulari a cui le FAHFA si legano per svolgere la loro attività, denominati GPR-120.

“Quando i FAHFA si legano ai recettori ind to GPR-120, sono in grado di controllare la quantità di glucosio introdotto nelle cellule”, ha sottolineato Kahn. “Il recettore è il tramite che consente ai FAHFA di indurre una riduzione dell’attività dei macrofagi, le cellule del sistema immunitario che sono legate all’insorgenza dell’obesità e delle patologie infiammatorie”.

“La scoperta dei FAHFA fornisce nuove e preziose informazioni sui meccanismi sottostanti alle patologie metaboliche e infiammatorie”, ha conccluso Kahn. “L’aspetto forse più importante è che questo risultato potrà essere utilizzato a scopi preventivi e terapeutici nei confronti del diabete, una malattia che nel mondo sta diventando un’epidemia”.

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