Inquinamento domestico: un rischio sempre molto sottovalutato

0

Acaro della polvere

Nella polvere delle nostre case si accumulano elevati livelli di sostanze chimiche rilasciate da molti oggetti d’uso comune, dai cavi elettrici fino ai profumi. L’effetto sulla salute dell’esposizione a lungo termine a questi inquinanti non è ancora chiaro, ma sarebbe un grave errore sottovalutare i rischidi Beth Skwarecki/Scientific American

La polvere delle nostre case e l’aria che respiriamo contengono una complessa miscela di sostanze chimiche. Alcune, come l’ossigeno, sostengono la vita. Altre sono inquinanti derivati da cose come i gas di scarico delle auto o piccoli rimasugli di prodotti per la casa. Due nuovi studi aggiungono dettagli molto interessanti sull’esatta diffusione di queste esposizioni tossiche.

Acaro della polvere
Acaro della polvere

Una nuova analisi, pubblicata questa settimana su “Environmental Science & Technology”, ha ribadito che le sostanze chimiche contenute nei prodotti di consumo – tra cui ftalati, fenoli e ritardanti di fiamma – sono componenti onnipresenti della polvere domestica. Queste sostanze sono presenti a livelli così elevati che i ricercatori dicono che è probabile che ne inaliamo e ingeriamo accidentalmente tutti i giorni piccole quantità, anche se non sappiamo ancora se questo livello di esposizione è sufficiente a farci male.

Queste esposizioni si verificano dopo che i prodotti chimici si “sfaldano” dagli oggetti, per esempio dai materiali da costruzione, dai cavi elettrici o dai profumi, dice Ami Zota, docente di salute ambientale e occupazionale alla George Washington University e coautrice dello studio.

Per comprendere meglio la portata di queste esposizioni lei e i suoi colleghi hanno esaminato i risultati di 26 studi peer-reviewed e una raccolta di dati, non pubblicati, ottenuta da campioni di polvere raccolti in 14 stati. I campioni provenivano da ambienti urbani, suburbani e rurali, e sono stati prelevati  all’interno di case e di altri luoghi come scuole e posti di lavoro. Le 10 sostanze chimiche più comuni sono state trovate in oltre il 90 per cento dei campioni, il che suggerisce che provengano da oggetti presenti nella maggior parte delle abitazioni e degli spazi comuni.

In questa analisi la sostanza chimica più abbondante è risultata il di-2-etilesilftalato (DEHP), uno ftalato che viene usato nelle plastiche flessibili, nei cosmetici e in altri prodotti per la cura personale. Nei topi e nei ratti, l’ingestione di alte dosi di DEHP interferisce con lo sviluppo del sistema riproduttivo maschile ed è collegato al cancro del fegato.

Quando i ricercatori hanno classificato le sostanze chimiche a seconda della probabilità di ingestione da parte di bambini in età prescolare, in cima alla lista è risultato il ritardante di fiamma TCEP (tris(2-carbossietil)fosfina). Nei topi, il TCEP è stato collegato al cancro e a danni cerebrali, ma come molti dei prodotti chimici per la casa non sappiamo se possa essere pericoloso per l’uomo.

Un importante limite dello studio è che ha preso in considerazione solo i tipi e le quantità di sostanze chimiche presenti nella polvere, ma non la salute delle persone che hanno trascorso del tempo nei luoghi in cui sono stati raccolti i campioni. Di molte sostanze chimiche, dice Zota,  non sappiamo ancora quali siano i livelli che dovrebbero essere considerati pericolosi in caso di esposizione a lungo termine. E non sappiamo se la combinazione di alcune di quelle sostanze chimiche sia più nociva rispetto alle sostanze considerate singolarmente.

Tracey Woodruff, che non è stata coinvolta nella nuova analisi, definisce il lavoro un “grande contributo” allo studio delle sostanze chimiche nella polvere domestica. Direttrice del Programma sulla salute riproduttiva e dell’ambiente all’Università della California a San Francisco, è stata ricercatrice senior e analista di politica ambientale presso l’Agenzia per la protezione dell’ambiente (EPA) degli Stati Uniti. “La polvere è là fuori. Sappiamo che i prodotti chimici sono nella polvere “, dice. “Ora abbiamo un quadro più preciso di quali sono e di quello che stiamo ingerendo, e questo è veramente importante per valutare i rischi”.

Nell’aria

Un secondo studio solleva nuove questioni sull’esposizione all’aria esterna. Il lavoro, pubblicato sui “Proceedings of National Academy of Sciences” il 6 settembre, suggerisce che le nanoparticelle di magnetite, tipicamente presenti nell’aria, possono viaggiare nel corpo umano ben più di quanto si credesse, e addirittura penetrare nel tessuto cerebrale. Queste particelle di inquinanti atmosferici sono state correlate alle malattie respiratorie da molto tempo, dice Woodruff, ma il legame con la salute del cervello “si sta appena iniziando a valutare”.

I ricercatori hanno esaminato 37 campioni di tessuto cerebrale di persone che hanno vissuto a Manchester e a Città del Messico, usando un sensibilissimo magnete per confermare la presenza delle particelle magnetiche nel cervello e cercarle quindi con un microscopio elettronico a trasmissione.

Anche se il nostro corpo produce una piccola quantità di magnetite – un minerale composto da ferro e ossigeno – le caratteristiche delle particelle di magnetite individuate dai ricercatori nei campioni di cervello suggeriscono che non provengano dal corpo. Tipicamente, queste particelle appaiono al microscopio elettronico con una forma simile a un cristallo. Ma Barbara Maher – che studia i minerali magnetici presenti nell’ambiente all’Università di Lancaster – e il suo team, hanno scoperto che la maggior parte di quelle nei campioni di cervello erano in realtà tondeggianti e soffici.

Questa forma, insieme ad altri indizi come la dimensione delle particelle e la presenza di altri metalli, suggerisce che siano state prodotte a temperature elevate, probabilmente nei motori dei veicoli. “In sostanza sono gocce di metallo fuso”, spiega Maher. “Se si raffreddano abbastanza rapidamente, conservano la forma sferica.”

Le particelle sono abbastanza piccole da poter entrare nel cervello attraverso il naso e il nervo olfattivo. Nessuno ha ancora dimostrato che la magnetite contribuisca al morbo di Alzheimer o a qualsiasi altra malattia – la magnetite è già stata rilevata nel cervello di alcuni pazienti con Alzheimer – ma si sa che il minerale crea radicali liberi che a loro volta possono danneggiare le cellule. Di conseguenza, Maher ritiene che sia “altamente improbabile” che la presenza delle particelle nel cervello sia innocua.

“I livelli di magnetite trovati nel cervello da questo studio sono molto più elevati di quelli rilevati in altri”, spiega Jon Dobson, che studia le nanoparticelle magnetiche in biomedicina all’Università della Florida e non è stato coinvolto nella ricerca. E’ possibile che quei livelli elevati siano dovuti a una contaminazione accidentale in laboratorio, nonostante le attente procedure per evitarlo, dice Dobson. Ma se i livelli elevati sono dovuti semplicemente all’esposizione dei pazienti ad alti livelli di inquinamento, studi futuri con gruppi di controllo provenienti da aree meno inquinate potrebbero confermare i risultati.

Rimuovere dal nostro ambiente nanoparticelle e sostanze chimiche dei prodotti di consumo è un compito imponente, che richiederebbe importanti cambiamenti nella loro gestione, per esempio vietando le sostanze chimiche più tossiche nei prodotti. Nel frattempo, però, sia Zota e Woodruff notano che lavarsi le mani prima di mangiare può ridurre significativamente l’apporto accidentale dei prodotti chimici presenti nella in polvere. E consigliano anche di usare un aspirapolvere dotato di un filtro antiparticolato ad alta efficienza (HEPA), progettato proprio per rimuovere le particelle molto fini.

Maher sottolinea anche che camminare evitando le strade trafficate può contribuire a ridurre la quantità di gas di scarico che si respira. Così come camminare sul lato a valle della strada, piuttosto che quello a monte, dove i conducenti bruciano più combustibile mentre accelerano. “Qualsiasi distanza che si può interporre tra sè e la fonte delle particelle è una buona cosa.”

(L’originale di questo articolo è stato pubblicato su “Scientific American” il 14 settembre 2016.)

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *