Vaccino anti-linfoma: parte in Italia la sperimentazione

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linfociti B


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TRIESTE, 10 OTT – Sta per iniziare la sperimentazione clinica sull’uomo del primo vaccino antilinfoma terapeutico, tutto italiano. Lo ha annunciato Oscar Burrone a capo del progetto e responsabile del Laboratorio di Immunologia Molecolare del Centro Internazionale di Ingegneria Genetica e Biotecnologia (ICGEB) di Trieste. Inizialmente saranno coinvolti 12 pazienti scelti tra quelli in cura presso il Dipartimento di Oncologia dei Trapianti dell’Universita’ di Pisa, che collaborera’ alla sperimentazione.
Non si tratta di un vaccino preventivo ma somministrabile a scopo curativo a pazienti gia’ colpiti dalla malattia. L’obiettivo e’ combattere il linfoma Non-Hodgkins, che colpisce alcuni tipi di globuli bianchi, i linfociti B che, hanno spiegato gli esperti, reagiscono in modo specifico nei confronti degli agenti estranei al nostro organismo (antigeni). Ogni linfocita possiede sulla membrana una proteina (immunoglobulina) in grado di riconoscere gli antigeni. Nell’insorgenza del linfoma Non-Hodgkin, le cellule tumorali hanno origine da un singolo linfocita B che, ”impazzendo”, si riproduce senza controllo. Ecco quindi, hanno proseguito gli esperti, che il vaccino ‘su misura’ deve avere come suo specifico bersaglio l’immunoglobulina accoppiata a quel linfocita B, inducendo, paziente per paziente, una risposta immunitaria specifica contro la sola immunoglobulina tumorale. Per questa ragione, sui pazienti verra’ effettuato il prelievo di alcune cellule tumorali per individuare il tipo di immunoglobulina coinvolta, identificarne il gene che la codifica e riprodurlo in laboratorio. Il vaccino a DNA risultante verra’ iniettato sotto la cute con una speciale pistola ad aria compressa e quindi comincera’ a stimolare la reazione immunitaria anti-tumorale. In particolare, il vaccino dovrebbe colpire le cellule tumorali residue e prevenire un’eventuale ricaduta, frequente nei linfomi. Il protocollo dell’esperimento prevede che ai malati venga somministrato il vaccino dopo le consuete sedute di chemioterapia e solo dopo il recupero dell’efficienza immunitaria. I pazienti verranno seguiti per tre anni, ed i risultati che emergeranno da saranno importanti per poter valutare l’efficacia del vaccino e considerarne l’utilizzo anche in altri tumori, ad esempio quello alla mammella.


Ansa

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