Nei casi di tumore ovarico funziona da ‘spia’, perché la sua assenza segnala l’alto rischio di recidiva post terapia. Quando al contrario è presente, la molecola miR-200c ha un ruolo (e potere) diverso: le pazienti con cancro alle ovaie al primo stadio hanno buone e maggiori possibilità di guarigione. Perché miR-200c ostacola la crescita del tumore e quindi le possibilità di recidiva.

A identificare questa particella di Rna è stato un team italiano dell’Istituto Mario Negri, la cui ricerca – finanziata dalla fondazione Cariplo e dall’Associazione italiana per la ricerca sul cancro – è stata pubblicata su Lancet Oncology 1.

Per arrivare all’identificazione di miR-200c, i ricercatori hanno analizzato una classe di molecole di Rna, chiamate micro-Rna. Queste, a differenza delle ‘colleghe’, non producono proteine necessarie all’organismo, ma regolano il funzionamento di altri geni, compresi quelli che determinano la crescita del tumore all’ovaio.

“Il nostro studio – spiega Maurizio D’Incalci, direttore del dipartimento di oncologia del “Mario Negri” – dimostra che esiste una ‘firma’ molecolare che definisce la sopravvivenza delle pazienti. In particolare, per una di queste piccole molecole di Rna, denominata miR-200c, l’associazione tra la sua presenza nelle cellule tumorali e la malattia è risultata molto forte. Ed è stata confermata statisticamente su due serie di pazienti del tutto indipendenti”.

Questo gruppo di ricerca da tempo studia il tumore ovarico, malattia che in Italia colpisce 5mila donne l’anno ed ha una quota molto elevata di diagnosi tardive: il 75% (3 casi su 4). Tra queste solo il 30-40% delle pazienti guarisce, mentre il 60% può solo sperare di trasformare il tumore in una malattia cronica con cui convivere con un’aspettativa di vita che si aggira intorno ai tre anni. Solo nel 25% dei casi, dunque, questo cancro viene diagnosticato in una fase precoce, quando le possibilità di guarigione sono intorno all’80-90%. “La nostra sfida – dice Maurizio D’Incalci – è stata di provare a identificare, nei tumori ovarici al primo stadio, quel marker tumorale in grado di svelare se la paziente corra o meno il rischio di recidiva, perché solo così si può intervenire con terapie mirate e farmaci ad hoc”.

Per trovare questa ‘firma genetica’, il team ha esaminato 144 casi di tumore ovarico al primo stadio. In particolare, l’analisi è stata condotta su campioni congelati di tessuto, 89 dei quali raccolti dalla banca dell’ospedale San Gerardo di Monza e 55 da quella del Sant’Anna di Torino (i medici di queste due strutture ospedaliere raccoglievano campioni di tessuti malati e in un database segnavano tutte le informazioni riguardanti la paziente, dalle terapie alle possibilità di sopravvivenza). I ricercatori hanno selezionato dunque 144 casi con un’osservazione media di nove anni, un lasso di tempo che consente di dire con certezza se il cancro ovarico è guarito o meno. Poi hanno analizzato il profilo dei micro-Rna di questi tessuti e hanno trovato nel miR-200c la firma genetica che consente una diagnosi più precoce e precisa, di prevedere l’andamento della malattia e, a volte, anche l’efficacia della terapia.

“Abbiamo visto – dice il coordinatore dello studio – che l’azione di questo micro-Rna regola l’azione dei geni coinvolti nel tumore dell’ovaio al primo stadio. Il miR-200c, in particolare, ha dimostrato di poter ridurre l’espressione di un fattore rilevante per la crescita del tumore, il Vascular endothelial growth factor (Vegf). E così dalla sperimentazione è emerso che la presenza del miR-200c garantisce una possibilità di guarigione. Viceversa nelle pazienti in cui mancava questa molecola le speranze di sopravvivenza erano minori”.

Va detto che i campioni di tessuti su cui è stata condotta la sperimentazione erano indipendenti. Infatti, racconta il ricercatore, in un primo momento l’analisi aveva riguardato solo l’ospedale di Monza (grazie a un finanziamento della fondazione Nerina e Mario Mattioli onlus) e soltanto dopo il team del “Mario Negri” ha voluto ripetere l’intera sperimentazione sul gruppo di tessuti congelati al Sant’Anna di Torino.

“Questi dati – dicono gli scienziati – sono di grande importanza per gettare le basi per effettuare le terapie più appropriate nelle diverse pazienti con carcinoma dell’ovaio allo stadio 1, sulla base del rischio di recidiva. Inoltre si intravede la possibilità di sviluppare nuove terapie più efficaci in gruppi selezionati di pazienti con questa malattia”. Infine, sapendo in anticipo quali pazienti avranno in futuro una recidiva, si potrà tentare di prevenire le ricadute concentrando e intensificando le cure per queste malate.

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