[SIN] Entro il 2020, la depressione sarà la seconda causa di disabilità al mondo

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 “Trattare la Depressione nel 2011: cambio di prospettiva

Dal XLII  Congresso nazionale della Società Italiana di Neurologia

Torino, 22-25 ottobre 2011

 

Torino 25 Ottobre 2011: “ Trattare la depressione nel 2011”, questo il titolo di uno dei numerosi  simposi che si terrà all’interno del XLII Congresso Nazionale SIN, dedicato alla patologia depressiva ed alle sue ripercussioni nel campo neurologico.

L’attualità del tema è testimoniata dall’ultimo dato dell’OMS, secondo il quale entro il 2020 la depressione sarà la seconda causa di disabilità nel mondo. Si stima, infatti, che almeno il 10-15% della popolazione europea ha avuto, o avrà, uno o più episodi depressivi e che in Italia sono circa 5 milioni le persone affette da tale patologia, superando quindi il 10% della popolazione generale e con un costo totale per la sanità pari all’1% del PIL.

 

Inoltre, a questi dati va aggiunto il rilevante numero delle depressioni sottosoglia, abitualmente non diagnosticate e, quindi, non trattate. Ancor più frequente è la presenza della depressione in comorbilità con altre malattie organiche (oncologiche, cardio-cerebrovascolari, ormonali, metaboliche, etc.)

“La depressione – aggiunge il Professor Antonio Federico, Presidente della SIN  – presenta una forte componente di origine neuronale con alterazioni del metabolismo serotoninergico, dimostrata recentemente anche da studi effettuati attraverso l’esame PET (Positron Emission Tomography).

Nella fase iniziale della malattia di Parkinson e della malattia di Alzheimer è, infatti, spesso presente anche una situazione di depressione, inoltre, questa patologia dell’umore è molto frequente nei soggetti post ictus. Il trattamento della condizione depressiva in questi pazienti – conclude il Professor Federico – li aiuta nel recupero funzionale, migliorandone il metabolismo serotoninergico”.

“In questo contesto, la psicofarmacologia della depressione, pur avendo compiuto importanti progressi dalla sintesi delle prime molecole degli anni ’50 fino ai più recenti antidepressivi ( come gli SSRI ed SNRI – antidepressivi non triciclici), lascia ancora molte aree di insoddisfazione nel trattare alcune depressioni – ha dichiarato il Professor Carlo Caltagirone professore Associato di Neurologia, Università di Roma, Tor Vergata e Direttore Scientifico dell’I.R.C.C.S Fondazione Santa Lucia di Roma, intervenuto al XLII Congresso Nazionale della Società Italiana di Neurologia .  Come  la latenza d’azione antidepressiva, la presenza dei sintomi residuali (in particolare nella sfera funzionale-cognitiva), un recupero parziale, e non soddisfacente, della sfera emotiva. Infine, un aspetto ancora importante da gestire è rappresentato dagli effetti collaterali dei farmaci, che compromettono ulteriormente la qualità di vita dei pazienti depressi”.

 

Negli ultimi anni sono nati nuovi orizzonti di ricerca riguardanti farmaci antidepressivi con meccanismi d’azione differenti da quelli esclusivamente neurotrasmettitoriali; una specifica attenzione è stata posta all’aspetto dei rapporti fra stress, umore e ritmi circadiani.

 

Da questo nuovo filone di studi è nata una molecola per il trattamento della depressione maggiore, approvata nel febbraio 2009 dall’EMA, la cui azione antidepressiva si esplica attraverso l’azione agonista sui recettori MT1 e MT2 della melatonina ed antagonista sui recettori serotoninergici 5HT2c.

 

In Italia, sulla base delle evidenze cliniche e dei primi riscontri pratici, la molecola ha mostrato vantaggi clinici importanti, come per esempio il precoce senso di well-being (benessere) a cui si accompagna l’effetto antidepressivo sui sintomi nucleari più importanti: ansia e anedonia, associate ad un miglioramento della qualità del sonno in assenza di effetti collaterali di tipo sessuale e ponderale.

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