Perchè i cianobatteri sono la salvezza degli ecosistemi

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Chlamydomonas reinhardtii

I cianobatteri che vivono nei mari rilasciano continuamente vescicole piene di carbonio e altre sostanze che servono da nutrienti per i batteri non fotosintetici. E’ questo il risultato di un nuovo studio che documenta anche che queste vescicole sono un veicolo per il trasferimento genico orizzontale e rientrano in un meccanismo di difesa dei batteri nei confronti dei virus .

I cianobatteri marini sono il primo importante anello della catena alimentare dell’oceano, poiché producono ossigeno e, utilizzando la luce solare come fonte di energia, trasformano in materia organica il carbonio ricavato dall’anidride carbonica. Un nuovo studio pubblicato sulla rivista “Science” a firma di Steven Biller e colleghi del Massachusetts Institute of Technology a Cambridge, dimostra ora che i cianobatteri contribuiscono al sostentamento di molti organismi marini, oltre che con la propria massa cellulare, anche rilasciando continuamente vescicole contenenti carbonio e altre sostanze che servono da nutrienti.

Chlamydomonas reinhardtii
Chlamydomonas reinhardtii

Gli esperimenti in laboratorio hanno mostrato che le vescicole possono rimanere sostanzialmente inalterate per due settimane circa, e che il carbonio che contengono è sufficiente a supportare la crescita di altre specie di batteri che non sono in grado di svolgere autonomamente la fotosintesi. Inoltre, poiché contengono molecole di DNA ed RNA, potrebbero avere un ruolo cruciale nel trasferimento genico orizzontale, un processo che consente ai batteri di scambiarsi geni.

Le vescicole extracellulari non sono una novità per i microbiologi, poiché furono scoperte nel 1967, ma il loro ruolo era conosciuto solo nei batteri collegati all’uomo. Quella di Biller e colleghi è dunque la prima prova scientifica della loro produzione nei batteri che vivono nei mari.

I ricercatori riferiscono la scoperta di un gran numero di vescicole prodotte dai due generi di cianobatteri più comuni sulla Terra, Prochlorococcus e Synechoccocus, in sospensione sia nelle colture batteriche sia nei campioni raccolti nelle acque del New England e del Mar dei Sargassi.

“La scoperta dell’abbondanza delle vescicole extracellulari nell’oceano estende notevolmente il contesto nel quale è necessario aumentare la nostra comprensione di queste strutture biologiche”, ha spiegato Biller. “Le vescicole rappresentano infatti una componente finora poco conosciuta e poco studiata del carbonio disciolto negli ecosistemi marini, e potrebbero rivelarsi un importante veicolo di scambio di materiale genetico e biogeochimico degli oceani”.

L’analisi delle vescicole raccolte da Biller e colleghi in acque marine ha rivelato che il DNA che contengono proviene da diversi ceppi di batteri, il che porta a ipotizzare che la loro produzione sia molto comune tra i microbi marini. Globalmente quindi si tratterebbe di una quantità enorme di sostanze, che rappresenta una notevole fonte di carbonio che arricchisce lo scarso contenuto di nutrienti dei mari aperti.

Proprio la scarsa disponibilità di nutrienti del mare aperto ha spinto gli autori a chiedersi quale possa essere il vantaggio evolutivo che ha portato questi cianobatteri a rilasciare quotidianamente una vescicola di materiale organico pari a circa un sesto del proprio corpo. L’ipotesi degli studiosi è che lo scambio di nutrienti tra i cianobatteri e i batteri non fotosintetici sia in realtà di mutua utilità. Prochlorococcus ha infatti perso la capacità di degradare alcuni composti chimici che potrebbero risultare tossici per il suo metabolismo, compito che sarebbe demandato ai batteri non fotosintetici, in cambio dei nutrienti contenuti nelle vescicole.

Un’altra ipotesi è che il rilascio faccia parte di un ingegnoso meccanismo di difesa nei confronti dei fagi, i virus che attaccano i batteri. L’analisi condotta dagli autori con il microscopio elettronico ha mostrato infatti che i fagi attaccano anche le vescicole in sospensione, inattivandosi. Le vescicole agiscono dunque come falsi bersagli, rendendo meno probabile l’attacco virale.

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