Ebola: torna a seminare il panico. La descrizione del virus

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L’epidemia di Ebola è la prima che si registra in Guinea. Le ultime statistiche ufficiali riportano 86 casi sospetti e 60 morti, con qualche caso anche in Liberia e Sierra Leone. L’emergenza è dovuta alla necessità di arginare i focolai.


Dall’Italia sono partiti alcuni esperti dell’Istituto Nazionale per le Malattie Infettive Spallanzani di Roma, mentre Medici Senza Frontiere, che è già presente nel Paese dell’Africa occidentale, ha intensificato gli sforzi per fronteggiare l’emergenza inviando 33 tonnellate di materiale in Guinea su due aerei cargo in partenza da Belgio e Francia, contenenti medicine, equipaggiamento medico e materiale necessario per l’isolamento dei pazienti e per adottare le misure sanitarie e proteggere le nostre equipe.em_ebola

Il contatto – La febbre emorragica da Ebola è una rara, ma seria malattia che si diffonde rapidamente attraverso il contatto diretto con persone e animali infetti E con loro secrezioni (sangue, urine, latte materno), spesso è mortale.L’ultima epidemia di Ebola ha ucciso decine di persone nell’estate del 2012 in Uganda e Repubblica Democratica del Congo. Da quando è stato scoperto nel 1976, sono stati registrati circa 2.200 casi. Di questi, 1.500 sono stati fatali. Tuttavia, casi sporadici e perfino epidemie si sono sicuramente verificati senza essere stati notati, perché scoppiate in zone remote dove manca l’accesso alle cure mediche.

“Le epidemie sono limitate ma ogni volta generano panico perché l’Ebola è fatale nel 25-90% dei casi. Dopo un periodo d’incubazione che va dai due ai 21 giorni, il virus – spiega Esther Sterk, specializzata in medicina tropicale per Medici Senza Frontiere (MSF) -, causa una febbre violenta, mal di testa, dolori muscolari, congiuntivite e fiacchezza generale. In un secondo momento il paziente registra vomito, diarrea e talvolta rash cutaneo. Il virus si diffonde nel sangue e paralizza il sistema immunitario. È particolarmente aggressivo perché il corpo non riconosce questi virus immediatamente e quando l’organismo risponde, è ormai troppo tardi. In quel momento, i virus hanno già creato problemi di coagulazioni che impediscono l’accesso del sangue a organi vitali, e causano emorragie gravissime”.

 

La lotta al virus – “Non esiste alcun trattamento – dice Sterk – per questa malattia, possiamo soltanto ridurre l’alto tasso di mortalità trattando i sintomi. Possiamo pertanto somministrare flebo ai pazienti disidratati a causa della diarrea e assicurarci che non abbiano altre malattie, come malaria o infezioni batteriche quali il tifo. Le vitamine e gli anti-dolorifici sono utili ma quando una persona perde conoscenza e sanguina copiosamente, allora non c’è più speranza. A quel punto, cerchiamo di alleviare la sofferenza del paziente e rimanere con lui fino alla fine. Appena il primo caso è confermato da un un test di laboratorio – ricorda l’esperta – le persone vicine al malato devono indossare una tuta protettiva, guanti, mascherina e occhiali e utilizzare la massima cautela quando somministrano la terapia. Camere di decontaminazione sono di solito installate tra i pazienti in isolamento e l’ambiente esterno. Per limitare l’epidemia, è fondamentale identificare l’intera catena di trasmissione – conclude Sterk – dunque tutti gli individui che sono entrati in contatto con pazienti e che potrebbero esser stati contaminati vengono monitorati e isolati al primo segnale d’infezione. Le comunità dove si è registrata l’epidemia devono anche essere informate sulla malattia e sulle precauzioni da usare per ridurre i rischi di contagio. Misure igieniche di base-come lavarsi le mani- possono ridurre significativamente il rischio di trasmissione”.

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