Distrofia Muscolare di Duchenne, descritta una nuova forma di proteina che permetterebbe nuovo protocollo di cura

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distrofia muscolare di duchenne

Scienziati trovano nella proteina distrofina una nuova forma che si ritiene possa divenire la chiave per un trattamento della DMD. Lo studio che accende nuove speranze per i malati

La distrofia muscolare di Duchenne colpisce quasi in esclusiva i maschi.

Si accendono nuove speranze per i malati di distrofia muscolare di Duchenne (o DMD), una patologia neuromuscolare genetica e debilitante, che in genere causa la perdita della funzionalità muscolare. E’ una malattia a rapida progressione e colpisce quasi esclusivamente i maschi, lasciandoli spesso incapaci di camminare già a soli 12 anni.

distrofia muscolare di duchenne
distrofia muscolare di duchenne

Poiché si ritiene che la DMD sia causata da alterazioni in un gene localizzato nel cromosoma X – il quale sottintende alla produzione di una proteina chiamata distrofina – i ricercatori si sono concentrati sul ruolo di questa, che è proprio una proteina fondamentale per la normale funzione muscolare, identificando il meccanismo genetico responsabile della sua produzione.

Lo studio, che si è focalizzato su una nuova isoforma proteica, suggerisce che questa potrebbe offrire un nuovo approccio terapeutico per alcuni pazienti con distrofia muscolare di Duchenne.
I risultati completi sono stati pubblicati online in Nature Medicine.

Il team di ricerca, del The Research Institute at Nationwide Children’s Hospital, coordinato dal dott. Kevin Flanigan, si è basato sui risultati di due precedenti studi del 2009. In questi studi era emerso come nei pazienti con DMD la mutazione genetica fosse rintracciabile in un esone 1, al principio del gene (l’esone 1, così come descritto dalla Treccani, è “il segmento di gene delle cellule eucariotiche che è trascritto nell’RNAm” – o RNA messaggero). Questa mutazione avrebbe reso impossibile la naturale produzione di distrofina e il funzionamento, che ha come conseguenza la grave malattia. Tuttavia, i pazienti presentavano solo sintomi minimi e i familiari che portavano le stesse identificate mutazioni sono stati trovati camminare bene anche a 70 anni.

Le biopsie muscolari hanno rivelato che, nonostante le mutazioni genetiche, i pazienti erano in grado di produrre quantità significative di una lieve piccola distrofina ancora funzionante. Negli studi del 2009 il gruppo del dott. Flanigan ha dimostrato che la trasposizione di questa distrofina non è cominciata nell’esone 1, come di consueto, ma ha invece avuto inizio più tardi nel gene nell’esone 6, anche se il meccanismo che controlla questa trasposizione alternativa è rimasto sconosciuto.

Come risaputo, la distrofina svolge un ruolo primario nella stabilizzazione della membrana delle fibre muscolari. Senza una quantità sufficiente di proteine, le fibre muscolari durante la contrazione sono particolarmente suscettibili al danno. Nel corso del tempo, le degenerazioni muscolari e le fibre muscolari vengono lentamente sostituite da grassi e tessuto cicatriziale. Molti diversi tipi di mutazioni possono portare alla DMD, alcune delle quali bloccano del tutto la produzione di distrofina, mentre altre si traducono in una proteina che non funziona come dovrebbe.

In questo nuovo studio, il team di Flanigan ha trovato la spiegazione. Al fine di utilizzare le istruzioni per la costruzione della proteina che trasportano, gli esoni vengono prima trascritti in una matrice genetica finale chiamata RNA messaggero (RNAm). In condizioni normali, l’RNAm è contrassegnato al suo inizio da un tappo molecolare speciale che è fondamentale per i ribosomi di reclutamento, le strutture cellulari responsabili della traduzione del gene in una proteina. La maggior parte dei casi di DMD sono dovuti a mutazioni che interrompono l’attività traslazionale dei ribosomi.
Nello spiegare così perché molti pazienti con mutazioni nei primi esoni del gene distrofina – tra cui il gruppo di pazienti descritti nel 2009 – sono oggetto di sintomi lievi, i ricercatori hanno ora dimostrato che la distrofina può essere prodotta da un meccanismo cellulare alternativo in cui la tappatura dell’RNAm non è richiesta. Questo meccanismo appena descritto si avvale di un sito d’ingresso interno al ribosoma, o IRES (Internal Ribosome Entry site), trovato all’interno dell’esone 5 del gene distrofina, consentendo l’inizio della trasposizione della proteina all’interno dell’esone 6 che può quindi procedere nel modo normale lungo il resto del gene.

«Questo elemento di controllo trasposizionale alternativo è codificato all’interno del gene della distrofina in sé, in una regione del gene dove l’evoluzione è altamente mantenuta – spiega il dottor Flanigan – Questo suggerisce che la proteina distrofina che risulta dalla sua attivazione svolge un importante, ma ancora sconosciuto, ruolo nella funzione delle cellule. Forse quando il muscolo è sotto stress cellulare, una delle condizioni in base alle quali gli elementi IRES sono in genere attivati».

Le attuali conoscenze e le terapie a disposizione sono specificamente dirette a quel circa 6% di pazienti con mutazioni che interessano i primi quattro esoni. Anche se molti di questi pazienti sono interessati da una malattia relativamente mite, molti altri hanno sintomi molto più gravi. Secondo Flanigan, se gli scienziati potessero trovare un modo per attivare l’IRES in quei pazienti, si potrebbe essere in grado di produrre abbastanza distrofina per diminuire la degenerazione muscolare.

«Piuttosto che intendere questo come una terapia personalizzata – ha sottolineato il prof. Nicolas Wein, PhD, autore principale del nuovo studio – lo stiamo sviluppando come uno strumento che potrebbe essere utilizzato per tutti i pazienti portatori di una mutazione nei primi esoni della distrofina. Usando questo approccio, abbiamo già dimostrato che siamo in grado di ripristinare la capacità di correre nel nostro nuovo modello murino di DMD. Speriamo di tradurre questo in studi clinici su pazienti [umani] DMD in futuro».

La ricerca è stata sostenuta in parte dal National Institutes of Health e l’organizzazione no-profit CureDuchenne.

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