Cancro del colon retto: i rischi sono legati all’insulina, anche le persone magre sono in pericolo

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Anche le persone magre possono essere in pericolo
I livelli di insulina nel sangue potrebbero essere un nuovo indicatore da utilizzare in combinazione con l’indice di massa corporea (il cosiddetto Bmi) per valutare il rischio di sviluppare un cancro del colon retto.

A suggerirlo è uno studio pubblicato su PLoS Medicine da un gruppo di ricercatori coordinato da Marc Gunter, esperto dell’Imperial College di Londra e dell’International Agency for Research on Cancer (Iarc) dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (Oms), secondo cui il rischio di sviluppare questo tipo di tumore intestinale sarebbe associato proprio ai livelli di insulina, indipendentemente dal fatto di essere o meno in sovrappeso.

colonscopia virtuale
colonscopia virtuale

Fino ad oggi, infatti, si sapeva che l’obesità è associata a un aumento del rischio di tumore del colon retto. Classificando gli individui coinvolti nello studio (737 pazienti con tumore del colon retto e altrettanti senza questa forma tumorale) in base a Bmi o circonferenza alla vita (un indicatore dell’accumulo di massa grassa) e livelli di insulina, Gunter e collaboratori hanno però scoperto che il rischio di cancro del colon retto è più elevato fra chi è normopeso e ‘metabolicamente non sano’ (cioè con livelli di insulina elevati) e fra chi è sovrappeso e ‘metabolicamente non sano’, ma non fra gli individui sovrappeso con livelli di insulina nella norma (e, quindi, ‘metabolicamente sani’).

“Fra gli individui sovrappeso – spiegano invece i ricercatori – è stato osservato un rischio di cancro del colon retto inferiore per gli individui sovrappeso/metabolicamente sani rispetto agli individui sovrappeso/metabolicamente non sani”.

I magri, quindi, sono avvisati: la loro forma fisica non è necessariamente indice di un minor rischio di sviluppare un tumore all’intestino. Restano però da chiarire le cause dell’iperinsulinemia osservata in alcuni partecipanti normopeso; alla sua base potrebbe esserci un’alimentazione sbilanciata, oppure la sedentarietà, ma i dati a disposizione degli autori non permettono di stabilirlo.

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