Storie di uomini e batteri: l’intestino evolutivo

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La composizione e la funzionalità della nostra flora intestinale, che è coinvolta nella regolazione di molte vie metaboliche, si sono evolute e continuano a evolversi in parallelo con la specie umana. I cambiamenti nell’alimentazione e negli stili di vita potrebbero quindi avere conseguenze poco prevedibili. E’ certo però che i primi mesi di vita sono cruciali per lo sviluppo di una popolazione microbica intestinale efficiente.

Se l’uomo non è soltanto ciò che mangia, il suo stato di salute dipende però molto dagli effetti dell’alimentazione sulla flora batterica intestinale, i cui metaboliti microbici attivano la secrezione di una varietà di peptidi correlati all’assunzione di cibo, all’accumulo di lipidi e all’omeostasi.

A dimostrarlo sono gli studi sulla funzionalità dell’apparato intestinale a cui l’ultimo numero della rivista “Science” dedica una raccolta di articoli che esaminano le più recenti scoperte sul ruolo cruciale di questi microscopici abitanti del nostro organismo sulla nostra evoluzione, sviluppo, difese immunitarie e suscettibilità a numerose patologie, infettive e non.

In particolare, per la salute a lungo termine appare importante il periodo di formazione delle colonie di batteri intestinali, di cui Jeremy Nicholson, dell’Imperial College di Londra, e Sven Pettersson, del Karolinska Institut di Stoccolma, si occupano  in un articolo di rassegna firmato insieme ad altri colleghi.

 

L’ecosistema microbico intestinale influenza infatti a lunga scadenza la salute umana non solo a partire dalla nascita, ma ancora prima, poiché la flora batterica dell’intestino materno può influire sull’ambiente intrauterino e di conseguenza sul feto.

Alla nascita, il colon del neonato è popolato da circa 100 specie microbiche, sulle quali iniziano ad agire immediatamente fattori fattori ambientali, a cominciare dal tipo di parto, e nutrizionali, come l’allattamento al seno oppure artificiale. Per esempio, le popolazioni di flora batterica dei bambini che nascono con il parto naturale sono dominate da ceppi di origine vaginale, mentre i bambini nati con taglio cesareo hanno una microflora che si avvicina di più a quella della comunità della pelle materna, con una prevalenza di ceppi di stafilococchi. Inoltre, questo periodo di prima colonizzazione dell’intestino coincide con l’attivazione dell’asse ipotalamo-ipofisi-surrene, che ha un impatto sul sistema nervoso enterico che innerva il tratto gastrointestinale, e attraverso di esso, sulle cellule endocrine intestinali.

 

Di fatto, osservano Nicholson, Pettersson e colleghi, le variazioni nella composizione microbica intestinale che avvengono nella prima infanzia possono influenzare il rischio di sviluppare numerose malattie nel successivo corso della vita.

 

In seguito, durante l’età adulta, il microambiente intestinale sembra diventare più stabile, per poi subire ulteriori cambiamenti con l’invecchiamento, che appare associato a un’alterazione delle funzioni fisiologiche, tra cui la funzionalità del sistema immunitario. In particolare, si è osservato che con l’età si ha un aumento del numero totale di microrganismi anaerobi facoltativi (vale a dire che possono sopravvivere facoltativamente con o senza ossigeno), con un progressivo cambiamento nel rapporto tra le specie Bacteroidetes e Firmicutes, e una netta diminuzione in bifidobatteri nei soggetti ultrasessantenni, ossia nel periodo in cui il sistema immunitario inizia a perdere efficienza.

 

Più in generale, sottolineano inoltre i ricercatori, il rapporto di coevoluzione tra noi e i batteri intestinali di cui siamo gli ospiti ha segnato il nostro destino evolutivo come specie e continuerà a farlo in futuro in modi che oggi è difficile prevedere ma che potrebbero variare enormemente via via che variano gli stili di vita e di alimentazione e le condizioni ambientali.

Una migliore comprensione delle complesse relazioni fra tipologie della flora intestinale, metaboliti degli enterobatteri e risposta complessiva dell’organismo, concludono gli autori, consentirà di mettere a punto strategie dietetiche e supporti farmacologici per migliorare lo stato di salute delle persone e rallentare il declino metabolico legato all’invecchiamento, non solo sulla scala temporale della vita individuale, ma su quella dell’intera specie umana.

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