Cirrosi e ascite: metodi di diagnosi nuovi per monitorarne lo sviluppo

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Roma, 3 dic. – Mano a mano che la cirrosi epatica diventa più grave, la permeabilità dell’intestino aumenta. E lo fa in maniera misurabile. Lo ha dimostrato un gruppo di ricercatori del Dipartimento di medicina interna e dell’Istituto di medicina nucleare dell’università Cattolica-Policlinico Gemelli di Roma, coordinato da Antonio Gasbarrini, docente di terapia medica. La scoperta rappresenta un importante passo in avanti per diminuire la mortalità dei pazienti nelle condizioni più gravi e avanzate della malattia.

il Bifidus, uno dei ceppi batterici intestinali amici
il Bifidus, uno dei ceppi batterici intestinali amici

Nel fegato di un paziente cirrotico – spiega una nota dell’università – si formano strutture simili a cicatrici che hanno l’effetto di rendere più difficoltosa la circolazione del sangue e dunque aumentare la pressione venosa della vena porta, che arriva direttamente dai capillari dall’intestino. Dall’intestino, che è lungo più di sei metri e ha una superficie ampia, perché a causa della sua funzione è frastagliato e pieno di rughe, si dipartono infatti moltissimi capillari. Ed è proprio a livello dei capillari che, a causa dell’aumento della pressione, aumenta la permeabilità che provoca il passaggio nel sangue di frammenti della flora batterica presente nell’intestino. Fenomeno chiamato ‘traslocazione batterica’.

“I batteri intestinali – sottolinea Gasbarrini – hanno una funzione molto importante perché addestrano il nostro sistema immunitario e facilitano il processo metabolico. Ma sono batteri molto speciali: più del 70% di essi non si possono coltivare fuori da quell’ambiente molto estremo. Ed è proprio per questo che è fondamentale poter misurare il livello di permeabilità intestinale, un’alterazione che causa traslocazione batterica ed è associata al peggioramento della cirrosi epatica”. I ricercatori sono riusciti a misurare la permeabilità grazie alla medicina molecolare. Ai pazienti sono state somministrate per bocca compresse di una molecola, l’EDTA, marcata con cromo-51. Per dimensioni, questa molecola non dovrebbe attraversare la parete intestinale, ma se la permeabilità è aumentata, anche questa molecola riesce a penetrare nell’organismo e finisce nelle urine.

“Se la percentuale di questa sostanza che misuriamo nelle urine è superiore a una certa quantità soglia – chiarisce ancora Gasbarrini – noi consideriamo quel livello di permeabilità patologico. La cosa importante da sottolineare è che, grazie a questo metodo, abbiamo uno strumento quantitativo preciso ed efficace per misurare esattamente il parametro permeabilità”. E non basta. L’importanza di questa misurazione è legata a una delle complicazioni più frequenti della cirrosi: l’ascite, ossia la presenza di liquidi nella pancia.

“Questa complicazione – continua il ricercatore – è dovuta all’ipertensione della vena porta. Il problema è che a un certo punto l’ascite non risponde più alle terapie diuretiche. In questi casi sappiamo che è quasi sempre collegata a una peritonite batterica spontanea, che è determinata dalla traslocazione di batteri intestinali e di loro frammenti nel liquido ascitico. Il risultato è una infiammazione del liquido, una scarsa risposta alle terapie e un’alta mortalità”. I ricercatori hanno suddiviso i pazienti più gravi in due gruppi, uno che presentava la peritonite e l’altro che non la presentava. Il risultato è stato che la totalità dei pazienti con peritonite aveva una permeabilità molto elevata.

“Questa osservazione – aggiunge Gasbarrini – si traduce in una strategia terapeutica molto semplice ma dagli effetti potenzialmente estremamente positivi. Noi possiamo abbassare la quantità di batteri intestinali con una opportuna terapia antibiotica, e dato che sono questi a provocare l’infiammazione del liquido, nel futuro potremmo dare una terapia antibiotica profilattica ai pazienti che abbiano un’ascite grave per evitare che peggiori e diventi intrattabile”. In sostanza, dopo l’assunzione della molecola-guida utilizzata per questo studio, ipotizzano i ricercatori, si potrebbe misurare la quantità di cromo nelle urine dei pazienti affetti da ascite. Se supera un certo valore di soglia, potrebbe diventare raccomandabile prescrivere una decontaminazione batterica per evitare le complicazioni più gravi. Ed è questo il tema di futuri approfondimenti.

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