L’incredibile organizzazione dei batteri contro cicli antibiotici

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Già due cicli terapeutici condotti a sei mesi di distanza comportano la sostituzione di diverse specie batteriche intestinali con altre

L’uso ripetuto di un antibiotico ben tollerato è considerato non comportare problemi, dato che raramente i pazienti incorrono in evidenti effetti collaterali. Tuttavia una ricerca condotta presso la Stanford University School of Medicine ha rivelato che esso induce cambiamenti cumulativi e persistenti nella composizione della flora batterica – composta secondo una stima prudenziale, da un migliaio di tipi differenti di microrganismi – che abita nell’intestino umano, svolgendo importanti funzioni.

Lo studio, diretto da David Relman e pubblicato sui Proceedings of the National Academy of Sciences – ha esaminato gli effetti della ciprofloxacina, un antibiotico prescritto in caso di molte infezioni, particolarmente dell’intestino e del tratto urinario, che raramente dà effetti collaterali come diarrea o gonfiori addominali. Esaminando, con il ricorso a nuove tecniche di analisi della flora batterica, gli effetti di due cicli terapeutici di cinque giorni condotti a sei mesi di distanza, i ricercatori hanno rilevato un sottile effetto a lungo termine: la sostituzione di diverse specie batteriche residenti con altre affini, ma anche la completa scomparsa di altre.

La generale somiglianza fra i ceppi pre- e post-trattamento spiega secondo gli autori la scarsa incidenza di effetti collaterali della ciprofloxacina, tuttavia – osserva Relman – una specie batterica scomparsa poteva avere un importante funzione biologica, come quella di produrre una proteina tossica per particolari patogeni, che viene così persa. Questa funzione può non essere avvertita per anni e diventare rilevante quando il patogeno in questione invade l’intestino del paziente.

Ciò non significa affatto che quell’antibiotico, o altri, sia pericoloso o che vada evitato – sottolinea Relman – ma solleva ancora una volta il problema di un loro uso oculato e quello dei possibili effetti collaterali a lungo termine. Ancora più importante sarebbe approfondire gli studi sulle specifiche funzioni svolte dai differenti tipi di batteri, anche se il compito appare molto complesso dato che la specifica composizione varia da persona a persona.

Se si riuscisse a farlo, anche grazie alla nuova tecnica di identificazione dei ceppi batterici intestinali, si potrebbe pensare a procedere, prima e dopo un trattamento antibiotico, alla valutazione dell’abbondanza relativa delle specie che ne compongono la flora intestinale, in modo da somministrare eventualmente specifici probiotici che favoriscano la specifica ricostituzione dei ceppi in pericolo.

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