Siringhe molecolari, nanotubi di carbonio: sul banco di prova degli scienziati

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Meglio un colpo secco e verticale, come su una natica, o un ingresso delicato e radente come in un prelievo di sangue? In attesa di scoprire ‘per cosa’, c’e’ gia’ chi si chiede ‘come’ usare quelle minutissime ‘siringhe molecolari’ rappresentate dai nanotubi di carbonio.

Con un diametro piu’ piccolo di un milionesimo di millimetro (nanometro) e una lunghezza massima di alcuni millimetri, e’ venuto subito spontaneo pensare a questi tubicini impalpabili – i piu’ piccoli mai realizzati dall’uomo – come a potenziali aghi con cui iniettare farmaci o geni all’intero di cellule malate. E se siringhe devono essere, meglio allora ragionare sin d’ora su come usarle. Non ha dubbi, al riguardo, un gruppo di ricercatori del dipartimento Ciamician dell’Universita’ di Bologna (Unibo). Il modo piu’ facile e naturale per penetrare una membrana cellulare con un nanotubo di carbonio, nella sua forma piu’ semplice, e’ con un’inclinazione radente alla superficie della membrana stessa. Come fa l’infermiera, quando deve “prendere” una vena, insomma. “Nell’ingresso radente, infatti – ha spiegato Siegfried Hofinger (Unibo) – si raggiunge l’equilibrio energetico piu’ favorevole”. L’ingresso del nanoago risulta addirittura due volte piu’ agevole che con un angolo, ad esempio, di 45 gradi, e tre volte rispetto alla penetrazione verticale. “Si puo’ persino ipotizzare che il nanotubo tenda ad assumere spontaneamente questo atteggiamento, se accostato alla membrana”, ha aggiunto Tommaso Gallo, un altro giovane autore dello studio, in stampa sulla rivista scientifica Biomaterials. I dubbi degli scienziati dipendono dall’estrema difficolta’ di maneggiare oggetti cosi’ piccoli.


“Nessuno probabilmente e’ ancora in grado di verificare sperimentalmente questi fenomeni”, ha detto Hofinger. I chimici bolognesi, del gruppo di ricerca di Francesco Zerbetto, hanno infatti tratto le loro conclusioni non da esperimenti fisici ma da simulazioni teoriche. Modelli matematici che tengono conto di tutte le forze in campo e delle proprieta’ fisico-chimiche degli elementi in gioco e prevedono i loro comportamenti. L’aspetto incoraggiante della ricerca Unibo, cui hanno partecipato anche la Michigan Technological University (US) e la Universidade do Porto (Portogallo), e’ che due simulazioni indipendenti e basate su approcci teorici completamente diversi hanno dato identico responso. L’introduzione radente alla membrana e’ sicuramente da preferire. La prima simulazione si e’ basata sull’equilibrio energetico del sistema e sul concetto di “environmental free energy”. La seconda simulazione e’, invece, tipicamente usata per descrivere il comportamento di grosse molecole in soluzione (solventi e polimeri). E’ forse meno accurata della prima ma ha il vantaggio di raffigurare bene l’evoluzione dinamica e temporale del fenomeno descritto. Per semplificare il problema, i ricercatori hanno considerato l’utilizzo di tubicini molto corti, massimo 7 nanometri, capaci di lasciarsi inglobare inter amente dalla parete cellulare, che ha uno spessore attorno ai 5 nanometri. Si e’ osservato anche che, una volta entrati nella membrana, i tubicini piu’ lunghi tendono a disporsi longitudinalmente, in modo parallelo alla superficie. Provando con fasci di piu’ tubicini assemblati assieme, si e’ anche dimostrato che il minor danno cellulare e’ prodotto da fasci compatti, con i tubicini stretti l’un l’altro.

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