Ogni cervello ha un network, ogni cervello ha una frequenza

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Per evitare ingorghi e strozzature che potrebbero compromettere la corretta trasmissione dei segnali, le diverse reti di comunicazione delle aree cerebrali sono sintonizzate su frequenze differenti.

Grazie alla magnetoencefalografia, che consente di evidenziare i campi magnetici associati all’attività delle cellule cerebrali, sì è potuta misurare la frequenza dei diversi network cerebrali, che è risultata di 5 Hz nell’ippocampo, 32-45 Hz nelle aree somato-sensoriali e 8-32 Hz per molte altre aree. La metodica potrebbe essere utilie per lo studio di malattie come la depressione e la schizofrenia.

Una “trasmissione multicanale”: è l’analogia con il mondo delle telecomunicazioni che può essere usata per spiegare come fa il nostro cervello a evitare ingorghi e colli di bottiglia che rischierebbero di mandare in tilt alcuni dei suoi snodi cruciali.

A evidenziare questa organizzazione delle reti di comunicazione cerebrale è un nuovo studio pubblicato sulla rivista “Nature Neuroscience” a firma di un gruppo di ricerca di una collaborazione tra la Washington University School of Medicine a St. Louis, l’University Medical Center a Hamburg-Eppendorf e l’Università di Tübingen.

“Molti disturbi neurologici e psichiatrici probabilmente riguardano la segnalazione nelle reti cerebrali”, ha spiegato Maurizio Corbetta, professore di neurologia della Washington University, che ha coordinato lo studio. “Esaminare la struttura temporale dell’attività cerebrale da questa prospettiva potrebbe essere particolarmente utile per comprendere patologie psichiatriche come la depressione e la schizofrenia, in cui i marcatori strutturali sono scarsi.”

 

Il risultato di Corbetta e colleghi ha richiesto una sorta di cambiamento di paradigma nello studio dei network cerebrali, reti fra aree del cervello tra loro interconnesse che funzionano regolarmente insieme. Di solito infatti queste reti vengono studiate utilizzando la risonanza magnetica funzionale, che permette di evidenziare le aree attive tracciando quelle in cui si evidenzia un aumento del flusso sanguigno durante un determinato compito svolto dal soggetto.

Questa metodica ha tuttavia importanti limitazioni. “La risonanza magnetica funzionale permette di tracciare l’attività delle cellule del cervello solo in modo indiretto e solo quando tale attività è associata a frequenze maggiori di 0,1 hertz, ovvero un ciclo ogni 10 secondi”, sottolinea Corbetta. “Sappiamo però che nel cervello alcuni segnali possono raggiungere anche frequenze di 500 hertz”.

Per arrivare a studiare frequenze così elevate è necessario ricorrere a una tecnica differente, denominata magnetoencefalografia (MEG) che consiste nella misurazione di campi magnetici prodotti nel corso dell’attività cerebrale e che da tempo viene utilizzata come strumento di indagine nelle ricerche sull’epilessia. Con la MEG si riescono a rilevare segnali fino a 100 hertz, anche nel caso in cui siano coinvolte molte cellule contemporaneamente.

Applicando la MEG a 43 volontari in buona salute è stato riscontrato che differenti network cerebrali sono sintonizzati ognuno su un gruppo di frequenze diverse: 5 Hz nel caso dell’ippocampo, 32-45 Hz nel caso delle aree somato-sensoriali, mentre altre aree operano a frequenze comprese fra gli 8 e i 32 Hz.

I risultati forniscono così una sorta di mappa della struttura temporale delle aree cerebrali che completa, e in qualche modo supera, la mappa spaziale dei network ottenuta con la risonanza magnetica funzionale.

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