Alzheimer: micro-stimolazioni cerebrali proteggono da danni chimici

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Recenti studi sperimentali nel campo delle neuroscienze hanno dimostrato che micro-stimolazioni eletttriche in certe zone cerebrali, attraverso l’applicazione di microscopici “pace-maker”, non solo sono in grado di migliorare il funzionamento del cervello, ma anche di “proteggere ” le cellule stesse contro i danni chimici provocati dai radicali liberi, o quelli associati alla progressione delle malattie degenerative croniche dell’invecchiamento cerebrale.

Da qui è nato un enorme interesse per lo sviluppo di questo approccio mirato al trattamento di una serie di malattie cerebrali, incluso il morbo di Alzheimer.

Il morbo di Alzheimer è una malattia associata all’invecchiamento che colpisce quasi il 50% della popolazione di anziani oltre i 70/80 anni di età con il risultato di un perdita progressiva dell memoria fino al completo annullamento mentale. A tutt’oggi non si conoscono le cause che portano allo sviluppo del morbo e non ne esiste una cura.


«I nostri studi in modelli animali geneticamente determinati a sviluppare un deterioramento cognitivo simile a quello che caratterizza il morbo di Alzheimer – spiega il neuropsichiatra bergamasco Giulio Maria Pasinetti, da vent’anni negli Stati Uniti, dove oggi dirige il Centro di eccellenza per la ricerca di nuove cure contro il morbo di Alzheimer alla “Mount Sinai School of Medicine” di New York -, hanno permesso di identificare alcune aree del cervello, che se stimolate elettricamente attaverso l’applicazione di “pace maker” cerebrali sono in grado di promuovere il rallentamento dei classici sintomi di deterioramento mentale del morbo».

«Ad esempio, recenti studi presentati a ottobre a Chicago, al Congresso Internazionale delle Neuroscienze, dimostrano che la stimolazione giornaliera per una settimana delle stesse aree cerebrali, blocca quasi completamente la perdita della memoria negli animali di laboratorio. La scoperta più clamorosa – dice Pasinetti – è stata quella di aver dimostrato che con questa tecnologia non solo si possono migliorare i sintomi della memoria ma allo stesso momento anche rallentare quei meccanismi che sono probabilmente alla base dello sviluppo della malattia stessa».

«I nostril studi sembrerebbero indicare che la micro-stimolazione elettrica di una decina di cellule del cervello sia in grado di provocare una cascata di segnali elettrici a migliaia di altre cellule, con il risultato di prevenire il deposito nel cervello stesso di una tossina chiamata “beta-amiloide” in grado di provocare la morte cellulare nei pazienti affetti da morbo di Alzheimer».

«La scoperta è strepitosa in quanto la semplice applicazione di un micro “pace-maker” nel cervello, così come lo si fa da anni per alcune malattie coronariche, non solo è in grado di promuovere fenomeni di memoria ma anche puntare a un possible rallentamento della malattia stessa. Gli studi nei modelli animali sono molto incoraggianti e stiamo cercando di perfezionarne le tecnologie per capire se l’applicazione di un “pace-maker” cerebrale sia in grado di ridurre anche il danno già provocato della malattia stessa».

«Nel frattempo – conclude Pasinetti – stiamo identificando nuove aree cerebrali che, quando stimolate, possano dare risposte sempre più efficienti ed immediate. Attraverso i nostri studi, puntiamo ad arrivare all’applicazione di questo trattamento nell’uomo, entro il prossimo anno».

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