Due diverse tecniche di imaging a risonanza magnetica funzionale hanno permesso di evidenziare che la psilocibina, il principio psicoattivo contenuto in alcuni funghi allucinogeni, agisce diminuendo l’attività e le connessioni tra i principali centri di comunicazione del cervello, lasciando spazio a contenuti cognitivi scollegati tra loro. In particolare, la sostanza induce una significativa diminuzione del flusso sanguigno e dell’ossigenazione venosa sia nelle strutture subcorticali sia in quelle corticali, principalmente nelle regioni del talamo e delle porzioni anteriore e posteriore della corteccia cingolata.

Tutte le civiltà della storia hanno avuto le proprie droghe, utilizzate a vari scopi. In particolare, quelle con effetto psichedelico hanno una lunga tradizione di uso nelle cerimonie sacre e nei riti di guarigione. Tuttavia, nonostante il recente rinnovato interesse per il loro potenziale terapeutico, anche come coadiuvanti della psicoterapia nei casi di disturbi psichiatrici, le basi neurali dei loro effetti sono ancora poco conosciute.

Un nuovo studio in proposito, pubblicato sui “Proceedings of the National Academy of Sciences” a firma di un’ampia collaborazione tra l’Unità di ricerca in neurobiologia dell’ Università di Copenhagen, in Danimarca, e vari istituti di ricerca del Regno Unito, tra cui l’Unità di neuropsicofarmacologia dell’Imperial College di Londra, l’Unità di psichiatria dell’Università di Bristol, il Brain Research Imaging Centre della Cardiff University e la Beckley Foundation di Oxford, colma almeno in parte questa lacuna.

Nel corso della ricerca sono state utilizzate due tecniche di imaging a risonanza magnetica funzionale (fMRI) denominate rispettivamente ASL (Arterial spin labeling), che permette di evidenziare la distribuzione del sangue nei tessuti cerebrali, e BOLD (blood-oxygen level dependent), che mostra la risposta emodinamica al consumo energetico da parte dei neuroni durante il passaggio dalla coscienza vigile allo stato psichedelico sotto l’effetto della psilocibina, la sostanza psicoattiva contenuta in alcuni funghi allucinogeni del genere Psilocybe e Stropharia. Le due tecniche sono state applicate rispettivamente a due gruppi di 15 volontari ciascuno.

Come previsto, dopo l’assunzione della psilocibina si osservano profondi cambiamenti nello stato di coscienza. I dati ottenuti con le tecniche di fMRI, d’altra parte, hanno fornito risultati significativi e tra loro coerenti: la psilocibina induce una significativa diminuzione del flusso sanguigno e dell’ossigenazione venosa sia nelle strutture subcorticali sia in quelle corticali. Sorprendentemente, la massima diminuzione nel flusso sanguigno nel cervello e del segnale BOLD è stata osservata nelle regioni del talamo e delle porzioni anteriore e posteriore della corteccia cingolata (ACC e PCC), considerati due snodi centrali nella struttura delle connessioni presenti nel cervello umano. Inoltre, la sostanza sembra interrompere l’accoppiamento funzionale tra la PCC e la corteccia prefrontale mediale.

Queste evidenze strumentali rafforzano l’ipotesi che gli effetti soggettivi delle droghe psichedeliche siano causati da attività e connettività diminuite rispetto al normale nei centri di comunicazione fondamentali del cervello, lasciando spazio all’emergere di contenuti cognitivi scollegati tra loro. Infine, i ricercatori sottolineano che, malgrado in genere si presuma che le sostanze psichedeliche agiscano incrementando l’attività neurale, i loro risultati mettono in forse questa convinzione.

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