Quando il dolore cronico altera le percezioni degli stimoli

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Nella percezione di uno stimolo esiste una componente predittiva, che il dolore cronico può alterare tanto da far sentire come negativa l’eliminazione di uno stimolo doloroso acuto
Uno stimolo che una persona sana percepisce come benefico, può essere elaborato in modo completamente diverso da chi soffre di un dolore cronico. Lo ha dimostrato uno studio condotto da ricercatori della Northwestern University e pubblicato sulla rivista Neuron.

Nello studio i ricercatori hanno confrontato la risposta cerebrale, seguita attraverso risonanza magnetica funzionale, a uno stimolo termico doloroso in un gruppo di soggetti sani e in uno che soffriva di mal di schiena cronico, verificando che la percezione del dolore e gli schemi di attivazione cerebrale nei due gruppi erano pressoché identici, a parte una rilevante differenza nell’attività registrata nel nucleo accumbens.

Il nucleo accumbens è una struttura cerebrale di cui è ben noto il ruolo nei circuiti della ricompensa e della motivazione, ma finora ben poco studiato in relazione alla sua risposta a eventi avversi e in particolare al dolore cronico.

Nella ricerca è stato in particolare rilevato che nei soggetti sani l’attività fasica nel nucleo accumbens all’inizio dello stimolo doloroso era predittiva della percezione del dolore, mentre quella al termine dello stimolo lo era del senso di sollievo. Nei soggetti afflitti da mal di schiena cronico, però, l’attività fasica alla fine dello stimolo era di polarità opposta a quella rilevata nei soggetti sani, come se il dolore acuto fungesse da alleviamento di quello cronico.

“La parte psicofisica del nostro studio suffraga l’ipotesi che la differenza nel segnale fra i due gruppi rifletta differenze nella valutazione predittiva della eliminazione dello stimolo acuto doloroso: ossia, nei pazienti sofferenti di dolore cronico, la predizione di un peggioramento del mal di schiena, laddove nei soggetti sani riflette la predizione del sollievo. Queste scoperte indicano un processo di apprendimento associativo potenzialmente disfunzionale nei pazienti con dolore cronico”, spiega Vania Apkarian, che ha diretto lo studio.

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