Farmaci Biotecnologici biosimilari: Italia fanalino di coda in Europa

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Nel Regno Unito, oggi, il 63% di filgrastim dispensato dal Sistema Sanitario Nazionale è biosimilare, in Germania la percentuale è del 41% e in Francia del 29%. In Italia scende al 5%. L’epoetina biosimilare è utilizzata nel nostro Paese solo per 1 paziente su 1.000, mentre in Germania per 4 su 10. “È necessario l’impegno e collaborazione da parte di tutti: sanitari, azienda, organi regolatori e media, che facciano cultura in modo responsabile e chiaro.” – dichiara Sandro Barni, Direttore Oncologia Medica dell’Azienda Ospedaliera Treviglio-Caravaggio. Questi farmaci, a parità di efficacia, qualità e sicurezza, costano anche il 30% in meno rispetto agli originatori, garantendo un risparmio significativo per i Sistemi Sanitari.

Milano, 6 Aprile 2011 – I farmaci biotecnologici biosimilari si stanno diffondendo sempre di più in Europa: in Germania, 4 pazienti su 10 assumono l’epoetina biosimilare, quasi 1 su 3 viene trattato con il biosimilare di filgrastim. Questi farmaci, a parità di efficacia, qualità e sicurezza, costano anche il 30% in meno rispetto agli originatori, garantendo un risparmio significativo per i Sistemi Sanitari.

In Italia, però, a tre anni dall’introduzione in commercio dei primi farmaci a brevetto scaduto di questo tipo, ancora permangono riserve al loro utilizzo: nel nostro Paese solo 1 paziente su 1.000 viene curato con epoetina biosimilare, e solo 5 su 100 con filgrastim biosimilare. Proprio per questo farmaco, che  stimola la produzione di globuli bianchi nei pazienti in chemioterapia, aiutando a prevenire le infezioni, il divario prescrittivo è molto significativo nei confronti di altri Paesi. Si pensi che nel Regno Unito, oggi, il 63% di filgrastim dispensato dal Sistema Sanitario Nazionale è biosimilare, mentre in Germania la percentuale è del  41% e  in Francia  del 29%.

 

“Se guardiamo i dati di utilizzo in Italia – spiega Sandro Barni, Direttore Oncologia Medica dell’Azienda Ospedaliera Treviglio-Caravaggio – ci rendiamo conto che l’oncologo non ha ancora pienamente accolto l’introduzione dei farmaci biosimilari ad oggi in commercio, ossia i fattori di crescita per i globuli bianchi e per i globuli rossi. A questo proposito, non si dimentichi che i biosimilari  sono farmaci ‘nuovi’ sui quali, nel nostro Paese, non esiste ancora un’esperienza clinica diffusa. Si può dunque pensare che il ritardo di introduzione sia dovuto non solo a dubbi sulla sicurezza di tali farmaci, peraltro garantita dagli organismi di controllo europei, ma anche alla legittima necessità del clinico di poter scegliere i farmaci in base alla propria esperienza. Questo significa che, se un paziente già in trattamento ha risposto bene alla terapia con un originatore, il medico preferirà continuare ad utilizzare quel farmaco, mentre potrà scegliere un biosimilare per i nuovi pazienti, in modo da verificare, di volta in volta, la risposta terapeutica. Probabilmente, come successo in Paesi quali Regno Unito e Germania, nel futuro l’utilizzo di tali farmaci si diffonderà sempre di più ma, perché questo succeda, è necessario l’impegno e collaborazione da parte di tutti: sanitari, azienda, organi regolatori e media che facciano cultura in modo responsabile e chiaro.”

 

 

La sovrapponibilità di qualità, sicurezza ed efficacia dei farmaci biotecnologici biosimilari con gli originatori è garantita da complesse procedure di immissione in commercio regolate, in Europa, a livello centrale dalla EMA (European Medicines Agency).

 

“Proprio perché un biosimilare non è la copia esatta di un biologico originatore, – spiega Armando Genazzani, Docente di Farmacologia alla Facoltà di Farmacia dell’Università del Piemonte Orientale – per ottenere l’approvazione degli organi regolatori, deve seguire tutto il percorso imposto dall’agenzia Regolatoria Europea (EMA), secondo modalità precise. L’azienda che intende produrre un farmaco simile a uno il cui brevetto sta per scadere deve, prima di tutto, ottenere una molecola biologica (ossia una proteina) simile a quella che si vuole copiare. Una volta ottenuta e purificata, questa va sottoposta a valutazioni fisiche e chimiche per accertarne la similarità con quella dell’originatore. Se supera questi esami, viene sperimentata sugli animali per valutarne l’attività biologica. Se anche questa fase è positiva, si passa agli studi sull’uomo, che devono coinvolgere un numero sufficientemente alto di persone e che confrontano il biosimilare con l’originatore: prima la molecola viene studiata su volontari sani (studi di fase I) poi, se i risultati lo consentono, su volontari malati (studi di fase III). Questo iter dura dai tre ai sette anni: l’approvazione si basa sul parere scientifico positivo dell’Agenzia Europea per i Medicinali (Ema) dopo la valutazione dei dati forniti. Pertanto, tutti i farmaci biosimilari ottengono l’autorizzazione all’immissione in commercio solo dopo una valutazione rigorosa ed approfondita dei relativi dati di registrazione.”

 

“I Farmaci Biotecnologici Biosimilari – spiega Marco Castino, Direttore Hospital & Specialties Business di Teva Italia – sono opzioni terapeutiche altrettanto efficaci, sicure e di qualità rispetto al farmaco biotecnologico originatore di cui è scaduto il brevetto. Questi farmaci sono destinati ad avere un ruolo da protagonisti nel settore farmaceutico mondiale, perché possono garantire l’accesso alle cure più innovative ad un numero maggiore di pazienti, favorendo un utilizzo più razionale della spesa farmaceutica. La loro diffusione favorisce, quindi, la sostenibilità dei Sistemi Sanitari; l’introduzione, nel comparto, di sei prodotti biotecnologici a brevetto scaduto comporterebbe, per l’Unione Europea, un risparmio di almeno il 30% di spesa, pari a circa 2.4 miliardi di euro all’anno. Relativamente all’Italia, secondo recenti proiezioni, la maggiore diffusione ed utilizzo dei farmaci biotecnologici biosimilari, nei prossimi 10 anni, potrebbe portare al Sistema Sanitario un risparmio progressivo di più di 200 milioni di euro nel 2015, fino a 500 milioni di euro nel 2020.  Quindi, pur restando lontanissimi dal 40% di utilizzo del farmaco biosimilare, già in essere in un Paese di riferimento come la Germania, complessivamente, le aziende sanitarie risparmierebbero già il 3-4% sulla spesa complessiva per i farmaci1.”

 

1 ‘Economia e mercato dei biosimilari: modelli di riferimento e simulazione per il SSN’ dalla rivista Biosimilari – Volume 1- Numero 2 – luglio 2010 (www.biosimilari.com)

 

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