Evoluzione nei batteri: il meccanismo del vantaggio adattativo

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Anche se le fonti di diversità genetica dei batteri differiscono enormemente da quelle degli eucarioti sessuali, il processo attraverso cui si diffonde la diversità adattativa e si innesca la differenziazione ecologica appare molto simile. Questo giustifica inoltre l’applicazione del concetto di specie anche a questi microrganismi, altrimenti identificabili solo come popolazioni ecologicamente specializzate.

I batteri sono gli organismi più diffusi e di maggiore successo del pianeta: prosperano quasi in ogni ambiente conosciuto, adattandosi a condizioni talvolta anche estreme per mezzo di variazioni genetiche che assicurano le funzionalità essenziali per la sopravvivenza.

Si ritiene che le innovazioni genetiche derivino sia da una mutazione casuale sia dallo scambio tra batteri di geni e altri pezzi di DNA capaci di conferire un vantaggio, che poi diventano parte integrante del genoma. Finora, tuttavia, non era chiaro in quale modo una mutazione vantaggiosa riuscisse a diffondersi da un singolo batterio all’intera popolazione: il gene con la mutazione vantaggiosa passa da un batterio all’altro oppure da un singolo individuo portatore della mutazione si forma una nuova popolazione di cloni identici meglio adattati all’ambiente?

Un importante passo in avanti nel chiarire il problema e nel conciliare evidenze apparentemente contrastanti viene adesso da uno studio condotto da ricercatori del MIT e del Broad Institute, che illustrano i loro risultati in un articolo pubblicato su “Science”.

Studiando i cambiamenti in 20 genomi completi di Vibrio cyclitrophicus relativi a due popolazioni ecologiche che avevano da poco iniziato a divergere per adattarsi a due microhabitat con diversi tipi di zooplancton, fitoplancton e particelle organiche sospese in acqua di mare, i ricercatori hanno osservato che geni e frammenti di genoma si diffondevano nelle popolazioni in modo specificamente legato alle caratteristiche ambientali; inoltre, dopo una mutazione, la ricombinazione tra i ceppi batterici di popolazioni differenti diventava meno frequente, evidenziando un modello di diversità genetica simile a quella di una popolazione di cloni.

Ciò indica, osservano i ricercatori, che nei batteri il processo di evoluzione è molto simile a quello degli eucarioti sessuali, che non passano alla progenie il loro intero genoma completo, indicando un’uniformita della differenziazione sia nei procarioti sia negli eucarioti.

I risultati inoltre arrivano al cuore di un’altra questione: si può parlare di specie nel caso dei batteri? Se infatti tutti i batteri in una popolazione sono cloni di un antenato comune, l’idea di specie non ha senso. Se invece – come dimostra il nuovo studio – i geni vengono condivisi tra gli individui con un processo casuale  portando così a una nuova popolazione ecologicamente specializzata, l’uso del termine può essere giustificato.

“Abbiamo scoperto che la differenziazione tra le popolazioni è limitata a un paio di piccoli frammenti del genoma”, spiega Eric Alm, che ha partecipato allo studio. “Modelli simili sono stati osservati negli animali, ma non ci aspettavamo di vederli nei batteri”, aggiunge un altro degli autori, Martin Polz.

“Anche se le fonti di diversità genetica sono molto diverse tra i batteri e gli eucarioti sessuali, il processo attraverso il quale si diffonde la diversità adattativa e si innesca la differenziazione ecologica sembra molto simile”, commenta Jesse Shapiro, primo firmatario dell’articolo.

“In termini evolutivi”, osservano R. Thane Papke eJ. Peter Gogarten in un articolo di commento alla ricerca pubblicato sullo stesso numero di Nature, “i procarioti assomigliano ai fringuelli di Darwin”, nei quali, benché popolazioni di specie diverse che abitano nella stessa isola diventino più simili le une alle altre a seguito di ripetute ibridazioni, “i caratteri definiti dalle relative nicchie ecologiche si conservano attraverso la selezione.”

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