Alzheimer: nuove speranze di trattare il morbo già nelle prime fasi della manifestazione

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Scienziati testano un nuovo farmaco che potrebbe fermare la progressione della malattia di Alzheimer intervenendo fin dalle prime fasi, impendendo la compromissione grave delle facoltà mentali del malatoalzheimer
I risultati nello studio inziale sugli effetti di un nuovo farmaco contro la malattia di Alzheimer, sono incoraggianti, e promettono di poter intervenire tempestivamente per fermare la progressione della malattia nei pazienti colpiti. In questo modo è possibile impedire che le facoltà mentali siano compromesse in modo grave e irreversibile.

Lo studio, i cui risultati sono stati pubblicati su PLoS ONE, è stato condotto su modello animale dal dottor David Allsop, professore di neuroscienze, e colleghi dell’Università di Lancaster.

Nei test, eseguiti con il nuovo farmaco, si è scoperto che questo era in grado di ridurre di un terzo il numero di placche amiloidi nel cervello – un noto biomarcatore indicativo della presenza della malattia di Alzheimer.
Al tempo stesso, il farmaco ha favorito il raddoppio nel numero di nuove cellule nervose nell’ippocampo, la regione del cervello associata con la memoria – una delle funzioni a essere più duramente colpita dall’Alzheimer.

«Molte persone che hanno lievi problemi di memoria possono tuttavia continuare a sviluppare la malattia, perché queste placche senili [amiloidi] iniziano a formarsi anni prima che i sintomi si manifestino – ha spiegato Allsop al Telgraph – L’obiettivo finale è quello di somministrare il farmaco in questa fase e fermare altri danni al cervello, prima che sia troppo tardi».
Come accennato, sono proprio le placche amiloidi, e la loro più o meno elevata presenza, a essere associate con il morbo di Alzheimer. Tuttavia, è ancora oggetto di discussione se l’effettiva rimozione di queste possa migliorare in modo significativo i sintomi, o se nel momento in cui si formano il danno sia già stato fatto, e quindi vi sia poco da fare.x[one_fourth last=”no”]

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Sebbene dunque il dibattito sia ancora aperto, i risultati ottenuti dai ricercatori britannici fanno ben sperare di poter avere presto un farmaco che sia attivo nel fermare la progressione della malattia. Come sempre, tuttavia, saranno necessari altri approfonditi studi clinici sull’uomo per poter proseguire su questa promettente strada.

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