Fecondazione assistita e diagnosi preimpianto: richiesto l’intervento della Corte Costituzionale

Il giudice Filomena Albano del Tribunale di Roma ha sollevato dubbio di legittimita’ costituzionale sul divieto della legge 40 del 2004 all’accesso alle tecniche di fecondazione medicalmente assistita per le coppie fertili. Per la prima volta tale divieto arriva all’esame della Corte Costituzionale.
E’ la terza volta che vengono espressi dubbi sul divieto di accedere alla fecondazione assistita per coppie fertili, portatrici di rare malattie genetiche potenzialmente trasmissibili, a cui la legge attuale vieta la diagnosi preimpianto sull’embrione per stabilire i rischi di avere un figlio malato. Gia’ nel 2010 il tribunale di Salerno ordinava l’esecuzione dell’indagine diagnostica preimpianto dell’embrione e il trasferimento in utero degli embrioni che non presentino mutazioni genetiche. Ma soprattutto nel 2012 la Corte Europea dei diritti dell’uomo (caso Costa Pavan) ha condannato l’Italia per violazione dell’art. 8 della Corte EDU. “Duque questa decisione del Tribunale di Roma – spiegano i legali della coppia autrice del ricorso, Filomena Gallo e Angioletto Calandrini – va a confermare le summenzionate decisioni evidenziando anche il contrasto della legge 40 con la Carta Costituzionale che garantisce a tutti i cittadini garanzie e tutele quali il diritto alla salute, all’autodeterminazione, al principio di uguaglianza che sono irrimediabilmente lesi dalla legge 40”.

Secondo il giudice “la legge 40 con il divieto di accesso per le coppie fertili portatrici di patologie genetiche Viola l’art. 3 Corte Cost., principio di uguaglianza tra chi e’ infertile con malattie genetiche e puo’ sottoporsi a PMA con indagine preimpianto e chi e’ fertile e portatore di malattie genetiche che a causa della legge 40 non puo’ effettuare tali indagini e evitare un aborto. Anche la decisione della Corte EDU evidenza tale irragionevole divieto in un sistema che prevede il ricorso all’aborto. Viola l’art. 2 della Costituzione, il diritto di autodeterminazione nelle scelte procreative. Viola l’art. 32 della Costituzione sotto il profilo della tutela della salute della donna. Viola l’art. 117 comma 1 Cost. e art. 8 e 14 della Carta EDU, sotto il profilo delle scelte e del principio di uguaglianza”.