Scompenso cardiaco e insufficienza mitrale: una tecnica Made in Italy per una clip salvacuore

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Le nuove tecniche per la cura dello scompenso cardiaco devono essere impiegate in un’ottica di appropriatezza clinica e razionalizzazione delle risorse, con un approccio multidisciplinare in cui il paziente sia sempre al centro del percorso terapeutico. Una nuova procedura di riparazione valvolare con clip mitralica per via percutanea migliora sensibilmente la qualità di vita del paziente e riduce il numero delle ospedalizzazioni per scompenso cardiaco severo del 45% rispetto al trattamento farmacologico, con un risparmio annuo di circa 18.000 euro a persona.

Milano, 22 novembre 2010 – Negli ultimi quarant’anni l’aspettativa di vita è aumentata notevolmente: secondo uno studio statunitense, pubblicato sul New England Journal of Medicine (agosto 2006) dal 1960 al 2000 abbiamo guadagnato in media 7 anni di vita, dove la riduzione della mortalità in campo cardiovascolare incide per il 70%.

Gli enormi progressi compiuti nel trattamento delle malattie cardiovascolari, che abbiamo visto avere un ruolo fondamentale per assicurare una maggiore attesa e una migliore qualità di vita, riguardano, tra gli altri, l’innovazione tecnologica, in particolar modo la continua evoluzione dei dispositivi biomedicali e la sempre minor invasività delle tecniche chirurgiche.

Lo sviluppo di tecnologie innovative comporta, dunque, nuove opportunità di cura ma anche importanti sfide, soprattutto riguardo l’appropriatezza e la sostenibilità dell’innovazione stessa, in particolar modo quando si tratta di patologie croniche ed invalidanti, come lo scompenso cardiaco.

“L’applicazione di nuove soluzioni terapeutiche, ha valore solo se impiegata nel rispetto delle indicazioni, da operatori esperti, nell’ambito di un percorso di cura che ponga il “paziente al centro” – ha dichiarato Ottavio Alfieri, Direttore del Dipartimento Cardio-Toraco-Vascolare dell’Istituto Scientifico Universitario San Raffaele nel corso dell’incontro dal titolo: “Nuovi approcci terapeutici allo scompenso cardiaco”, svoltosi oggi a Milano presso il Centro Congressi San Raffaele, promosso dal Dipartimento Cardio-Toraco-Vascolare dell’Istituto Scientifico Universitario San Raffaele con la collaborazione di Abbott, cui hanno preso parte, tra gli altri, Francesco Maisano, Responsabile dell’Unità Funzionale Trattamento Transcatetere delle Valvulopatie dell’ U.O. di Cardiochirurgia dell’Istituto Scientifico Universitario San Raffaele di Milano, Rosanna Tarricone, Professore Associato di Economia Aziendale presso l’Università Bocconi di Milano, e che ha visto la partecipazione del Presidente della Commissione Sanità del Consiglio Regionale della Lombardia, Margherita Peroni.

“Perché ciò avvenga – continua Alfieri – è necessario applicare un metodo multidisciplinare che richiede, oltre a nuovi approcci terapeutici, l’integrazione di diverse competenze specialistiche che permettano di trovare la soluzione migliore per ciascun paziente. E il trattamento dello scompenso cardiaco – ovvero l’incapacità del cuore di svolgere adeguatamente la propria funzione di pompa – è un caso emblematico, perché è un patologia che non comporta solo una sofferenza del sistema cardiocircolatorio, ma investe una molteplicità di organi e apparati”.

Le patologie valvolari sono tra le principali cause dello scompenso cardiaco, che colpisce in Italia circa 1 milione di persone ed è una delle malattie croniche a più alto impatto sulla sopravvivenza, sulla qualità di vita dei pazienti e sull’assorbimento di risorse, se si pensa che negli ultimi anni è diventato il primo motivo di ricovero ospedaliero (170.000 ricoveri l’anno) dopo il parto naturale e che in Europa il costo complessivo annuo delle ospedalizzazioni per un paziente affetto da scompenso cardiaco severo è di oltre 40.300 euro, considerando la media di 3-4 ricoveri annui della durata di 8-9 giorni ciascuno.

L’insufficienza mitralica – condizione in cui la valvola mitralica diventa incontinente e determina un rigurgito di sangue dal ventricolo sinistro all’atrio sinistro – è presente nel 90% dei pazienti affetti da scompenso cardiaco e nelle forme di grado moderato o severo colpisce il 10% della popolazione con più di 70 anni. Per ridurre la probabilità di sviluppare scompenso cardiaco e migliorare la sopravvivenza del paziente, l’opzione chirurgica risulta essere la più efficace. Recentemente, grazie all’introduzione di tecniche innovative, alla chirurgia valvolare protesica, si è affiancata la chirurgia riparativa mininvasiva, più accettata dai pazienti giovani e in grado di ridurre i rischi operatori per quelli anziani affetti da patologie concomitanti.

“La terapia più recente per la riparazione della valvola mitralica prevede l’utilizzo di una clip – afferma Francesco Maisano, Responsabile dell’Unità Funzionale Trattamento Transcatetere delle Valvulopatie dell’Istituto Scientifico Universitario San Raffaele di Milano – Si tratta di una metodica che riproduce una tecnica chirurgica introdotta dal Professor Alfieri nel 1991 (edge to edge), attraverso un approccio percutaneo, mininvasivo, che non necessita di circolazione extracorporea e di

apertura delle camere cardiache e che comporta l’inserimento di una clip mitrale che permette alla valvola di chiudersi in maniera corretta”.

“Attraverso un accesso dalla vena femorale – continua Maisano – viene inserito il sistema di rilascio e controllo del dispositivo nell’atrio sinistro. Sotto guida ecografica, in corrispondenza del segmento responsabile dell’insufficienza mitralica, viene posizionata la clip che, riproducendo il gesto chirurgico della sutura, cattura i lembi danneggiati e li stabilizza. Se necessario, la clip può essere riaperta e riposizionata. Essendo poco invasivo, questo intervento può essere utile soprattutto per quei pazienti che non potrebbero superare un intervento chirurgico tradizionale”.

Ad oggi, nel mondo, più di 2.200 pazienti sono stati trattati con questa procedura, di cui 1.260 in Europa e 154 in Italia (48 presso il San Raffaele). I primi interventi sono stati realizzati negli USA nel 2003 e in Europa nel 2008, in seguito all’assegnazione del marchio CE, con risultati incoraggianti.

I dati dello Studio multicentrico randomizzato Everest II, infatti, che ha comparato la riparazione percutanea della valvola mitralica con la cardiochirurgia tradizionale, dimostrano che la clip mitralica ha soddisfatto l’ipotesi di superiorità per sicurezza e di non inferiorità per efficacia rispetto alla chirurgia di sostituzione valvolare.

Il trattamento percutaneo potrebbe, poi, coprire un ruolo fondamentale nel trattamento di quei pazienti che oggi vengono ritenuti a rischio chirurgico elevato, i cui dati sono stati raccolti nell’High Risk Registry dell’Everest II: rispetto al gruppo di controllo (trattato con terapia medica) i pazienti sottoposti a riparazione valvolare con clip mitralica hanno dimostrato una riduzione delle ospedalizzazioni nell’anno successivo all’impianto del 45%, una maggiore sopravvivenza a 12 mesi (76% vs 55%), ed un miglioramento dello stato funzionale e della qualità della vita: l’80% circa dei pazienti è passato da uno stato clinico grave (NYHA Classe III o IV), a uno meno severo (NYHA Classe I o II).

Una riduzione delle ospedalizzazioni del 45% per pazienti affetti da scompenso cardiaco severo, oltre a significare un miglioramento della qualità della vita del paziente, implicherebbe un risparmio annuo di oltre 18.000 euro a persona. Dato molto importante in un momento in cui, in ambito sanitario, l’obiettivo principale è quello di coniugare la scelta delle migliori opportunità terapeutiche con una razionalizzazione dei costi.

La chirurgia percutanea per la riparazione valvolare giocherà nei prossimi anni un ruolo determinante nel trattamento dello scompenso cardiaco, pertanto, la diffusione responsabile di questa tecnologia renderà sempre più cruciale l’identificazione dei pazienti, in cui potrà esprimere al meglio le proprie potenzialità per evitare dispersione di risorse e insuccessi clinici.

“La selezione dei pazienti – aggiunge Alfieri – segue criteri clinici e anatomici ben definiti, che includono la posizione e l’ampiezza della porzione responsabile del rigurgito e l’entità della dilatazione anulare. Per questo l’intervento richiede l’applicazione di competenze diverse, che superino i limiti delle singole specializzazioni. Nel nostro ospedale – continua Alfieri – dal 2004 il reparto di cardiochirurgia e quello di cardiologia interventistica si sono fusi per affrontare la sfida dell’introduzione delle nuove tecnologie per il trattamento percutaneo delle valvulopatie: il paziente è, così, al centro dell’“ambulatorio valvole” dove una equipe multidisciplinare di cardiochirurghi, emodinamisti ed ecocardiografisti esaminano i casi dei potenziali candidati alle procedure e decidono insieme l’intervento più appropriato”.

“Restano, tuttavia, sul piano organizzativo alcuni ostacoli che non fanno cogliere appieno i frutti del progresso scientifico a beneficio dei pazienti – sottolinea Rosanna Tarricone, Professore Associato di Economia Aziendale all’Università Bocconi di Milano. Esiste, infatti, uno scollamento tra il grande dinamismo dell’innovazione tecnologica e la risposta non sempre reattiva da parte del Servizio Sanitario Nazionale. Se da una parte, infatti, prima di finanziare una tecnologia innovativa è importante valutare attentamente la sua reale efficacia, una volta accertati il valore aggiunto in termini di ‘produzione di salute’ e la sostenibilità economica, il sistema sanitario deve dotarsi velocemente degli strumenti di finanziamento che permettano l’accesso alla cura da parte dei pazienti”.

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