Molecole: una tecnica per individuarne il funzionamento corretto, difficile ma messa a punto

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Per studiare il funzionamento delle molecole all’interno di una cellula, la statistica non funziona. I meccanismi biologici chiave infatti non sono uniformi né globali, ma riguardano poche molecole alla volta. molecoleEcco perché individuare la chimica delle singole molecole diventa necessario. Ed è una tecnica ormai matura.

Le molecole sono piccole. E sono tante. Per ricavare dati sulle molecole di un tessuto organico è quindi naturale che l’approccio più frequente sia quello statistico. Eppure molti esperimenti oggi sono condotti nell’ottica single-molecule, attraverso tecniche di fluorescenza. Ma perché dovremmo stare a guardare il comportamento di una sola molecola, con metodi sofisticati e grande dispendio di risorse, invece di prenderne un bel numero e fare una media dei rilievi ottenuti?

La risposta è in un articolo di Mark Leake, biofisico all’Università di Oxford, appena apparso su “Philosophical Transactions of the Royal Society”. Il punto è che, spiega lo scienziato britannico, in un gruppo di oggetti non uniforme la media non funziona: ci dà una descrizione non fedele di quello che stiamo osservando. E le molecole di una cellula costituiscono un ambiente molto eterogeneo. Dal congelamento agli sbalzi termici, varie strategie sono state attuate per sincronizzare un numero grande di molecole, in modo tale che fossero tutte impegnate contemporaneamente in uno stesso processo e la media avesse un senso. Ma queste procedure possono influire sulla fisiologia dei tessuti, pregiudicando il risultato degli esperimenti.

Le motivazioni per focalizzarsi sulle singole molecole, argomenta Leake, non finiscono qui. Lo stato energetico di una molecola infatti può essere più stabile (e in questo caso si avvicina alla descrizione data dalla media) o meno stabile. Le configurazioni instabili sono più rare, hanno vita breve e spesso la media non le coglie, ma non ci interessano meno di quelle stabili. Anzi: spesso sono proprio queste configurazioni a rappresentare il passaggio da una fase all’altra di un processo biologico, e rivestono quindi un interesse speciale. Un esperimento classico che si basi su metodi statistici coinvolgerebbe, insieme alle molecole coinvolte in un dato processo, anche tutte quelle che non lo sono. Nascondendo proprio i fattori più interessanti.

Insomma, l’eterogeneità è una caratteristica essenziale per i processi organici, e la statistica tende ad appiattirla. Il primo esperimento di singola molecola condotto in acqua  –  il composto necessario a tutti gli organismi viventi – risale a molti anni fa: era il 1961. Da allora questo filone di ricerca ha affinato moltissimo le sue tecniche, ma solo recentemente gli esperimenti di singola molecola hanno iniziato ad avere come protagoniste cellule vive e funzionali, studiate nel loro ambiente fisiologico. Si tratta di esperimenti molto più difficili da controllare, ma necessari: il vincolo della provetta può modificare il reale funzionamento di una cellula in natura. Gli esperimenti in vitro, per certi versi più affidabili, danno risultati complementari rispetto a quelli in vivo, ma non li sostituiscono.

Il gruppo di ricerca guidato da Leake ha sviluppato metodi per monitorare singole proteine all’interno di cellule vive. E’ il momento che fisica, chimica e biologia lavorino insieme per capire la vita al livello molecolare, dichiara Leake, che denuncia una certa tendenza degli scenziati delle varie discipline alla immiscibility: a comportarsi, insomma, come l’olio e l’acqua. E Leake, con la sua duplice affiliazione al dipartimento di fisica e al dipartimento di biochimica dell’Università di Oxford, dà senz’altro il buon esempio.

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