Alzheimer e sindrome di Down: proteina in comune

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La riduzione dei livelli cerebrali di proteina beta amiloide nel cervello di topi mutanti affetti da un analogo murino della malattia di Down consente di migliorarne le capacità di apprendimento. La scoperta è stata fatta da un gruppo di ricercatori dell’UT Southwestern Medical Center, che ne parlano in un articolo pubblicato sulla rivista online PLoS One.

“Questo studio preliminare nel modello animale apre le porte all’interessante possibilità che farmaci in grado di abbassare i livelli di proteina beta amiloide possano risultare di qualche beneficio anche ai bambini affetti dalla sindrome di Down”, ha osservato Craig Powell, che ha diretto lo studio.

All’origine della sindrome di Down vi è la presenza nel patrimonio genetico di chi ne è colpito di una copia in più del cromosoma 21, tanto da che la malattia è nota anche come trisomia 21. In effetti su questo cromosoma sono presenti i geni che presiedono alla sintesi della proteina beta amiloide.

I bambini affetti da sindrome di Down hanno livelli cerebrali più elevati di questa proteina, anche se non è noto se ciò contribuisca ai deficit di capacità intellettiva. In ogni caso, osserva Powell, a partire dalla tarda età adulta, la grande maggioranza di questi pazienti mostra i segni iniziali della malattia di Alzheimer.

Per il loro studio i ricercatori sono ricorsi a topi affetti da una anomalia genetica che simula molto da vicino la sindrome di Down umana: questi topi hanno tre copie di una serie di geni – ivi compresi quelli relativi alla proteina beta amiloide – e mostrano notevoli difficoltà di apprendimento, valutate con una serie di test standard per i topi, come quelli sulla capacità di imparare a orientarsi in un labirinto.

I ricercatori hanno trattato questi topi geneticamente alterati somministrando loro per quattro mesi un farmaco sperimentale chiamato DAPT, che è in grado di bloccare la gamma-secretasi, un enzima essenziale per la produzione della proteina beta amiloide.

Già un trattamento di quattro giorni riusciva a ridurre del 40 per cento i livelli cerebrali di proteina beta amiloide, portando a un progressivo miglioramento delle prestazioni dei roditori, alcuni dei quali sono riusciti ad arrivare a una velocità di apprendimento paragonabile a quella dei topi normali.

Powell avverte tuttavia che l’enzima bloccato interviene in molte altre funzioni cerebrali, oltre che al controllo della proteina beta amiloide, e che per questo “gli attuali inibitori della gamma-secretasi possono avere effetti collaterali indesiderabili. Il nostro scopo è ora quello di identificare dei farmaci che blocchino la capacità di questo enzima di produrre la proteina

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