Distrofia: passi in avanti con staminali e terapia genica

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La nuova tecnica messa a punto da un’équipe italiana permette di superare parte degli ostacoli per far arrivare, nei topi, il gene terapeutico. E i sintomi della patologia migliorano.

Passo in avanti per combattere la distrofia muscolare: una particolare terapia genica, in grado di superare parte degli ostacoli, ha permesso di traghettare il gene terapeutico nelle cellule muscolari di topi affetti dalla stessa forma di distrofia muscolare. A metterla a punto è stata un’équipe di scienziati guidati da Giulio Cossu e Francesco Saverio Tedesco, del San Raffaele e dell’Università di Milano, che sono riusciti a migliorare i sintomi negli animali, aprendo così nuove prospettive per contrastare la malattia anche nell’uomo. E’ molto difficile fermare o far regredire la perdita progressiva di fibre muscolari nella distrofia di Duchenne, una malattia genetica dovuta alla mutazione di un gene che si trova sul cromosoma X, che negli individui malati rende impossibile produrre la distrofina, una proteina essenziale che compone l’impalcatura delle cellule muscolari. Da anni i ricercatori italiani stanno combattendo con questa patologia per cui ad oggi non esiste una cura. Molte speranze sono riposte nella terapia genica, per far arrivare il gene sano della distrofina all’interno dei muscoli dei pazienti, ma la strada non è semplice: il gene della distrofina è infatti troppo grande per poter essere trasportato da un semplice vettore virale, senza considerare che vettore e gene andrebbero iniettati in tutti i muscoli del corpo Ora Cossu e colleghi, in un lavoro pubblicato su Science Translational Medicine, hanno trovato il modo di aggirare il problema, battendo una strada nuova, in grado di far portare una copia sana del gene della distrofina direttamente ai muscoli senza usare un vettore virale, combinando, invece, la terapia con cellule staminali e un cromosoma artificiale umano.


“E’ da parecchio che ci concentriamo su queste ricerche”, racconta il professor Cossu. “Circa dieci anni fa abbiamo identificato un tipo particolare di cellule staminali normalmente associate ai vasi sanguigni, i mesoangioblasti, che, in studi condotti su due modelli di distrofia, nel topo e nel cane, hanno mostrato di riuscire a fondersi con le fibre muscolari esistenti, producendo distrofina sana e rigenerando il tessuto muscolare. Finora però eravamo riusciti ad utilizzare solo cellule sane provenienti da un donatore, il che comporta la necessità di immunosoppressione per evitare il rigetto delle cellule trapiantate”. Pensando che queste cellule – che riescono a superare le barriere dei vasi sanguigni e possono differenziarsi anche in fibre muscolari – potessero portare il gene sostitutivo della distrofina ai muscoli dei topi malati, l’équipe, in collaborazione con un gruppo giapponese, ha fatto un ulteriore passo in avanti, creando un vettore cromosomico artificiale per traghettare il gene sano. Il vettore, con il suo carico, è stato poi trasferito nei mesoangioblasti, iniettati successivamente nei muscoli degli animali distrofici. Gli effetti? “Significativi”, spiega il professore. “I sintomi della malattia nel topo si sono attenuati e sono state prodotte fibre muscolari funzionali, con un miglioramento della patologia”. Se i risultati nel topo sono incoraggianti, “ora il passo successivo sarà farlo nell’uomo”, conclude Cossu, “anche se rimangono da risolvere diversi problemi pratici, per cui ci vorrà ancora del tempo”.

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