Confronto tra gruppi di cellule staminali per scegliere le migliori

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cellule staminali embrionali

Le cellule staminali ottenute con la tecnica di trasferimento nucleare sono più simili alle staminali embrionali, considerate le migliori per le applicazioni terapeutiche, rispetto alle pluripotenti indotte, su cui si concentra la maggior parte degli sforzi di ricerca. Lo rivela un nuovo studio che ha analizzato gli schemi di espressione genetica, confrontando linee cellulari ottenute con le diverse tecniche.

Le cellule staminali ottenute trasferendo il materiale genetico da una cellula epiteliale a una cellula uovo privata di nucleo sono qualitativamente migliori rispetto a quelle ottenute forzando una cellula matura a percorrere all’indietro il suo cammino di differenziamento, e sono le più simili alle staminali embrionali, considerate attualmente quelle qualitativamente migliori a fini terapeutici.

Cellule staminali ottenute per trasferimento nucleare (Cortesia OHSU, Center for Embryonic Cell and Gene Therapy)

cellule staminali embrionali
cellule staminali embrionali

Lo sostengono in un articolo pubblicato sulla rivista “Nature”, Joseph R. Ecker e colleghi del Salk Institute, dell’Oregon Health & Science University (OHSU) e dell’Università della California a San Diego.

“Queste cellule create utilizzando il citoplasma delle cellule uovo hanno meno problemi di riprogrammazione e di alterazione dei livelli di espressione genetica e sono più simili alle cellule staminali embrionali”, spiega Ecker.

Negli ultimi anni le ricerca biomedica ha messo a punto diversi metodi per ricavare le cellule staminali, che rappresentano la grande promessa della medicina rigenerativa, sulla base di alcuni risultati clinici incoraggianti. Il primo metodo è quello più diretto, e consiste nell’estrazione da embrioni destinati alle pratiche di fecondazione artificiale e non più utilizzati a questo scopo. Le cellule staminali embrionali (hESC) possono essere fatte differenziare in tutti i tipi di cellule dell’organismo, ma il loro impiego solleva importanti interrogativi etici.

Un’altra strada molto studiata è quella delle cellule staminali pluripotenti indotte (iPS). Si tratta in questo caso di cellule adulte, che vengono fatte regredire in vitro, usando un’opportuna combinazione di geni, fino allo stato di cellule staminali pluripotenti. Queste ultime possono successivamente essere indotte a differenziarsi nuovamente in diverse linee cellulari.

Negli ultimi anni un gruppo dell’OHSU ha messo a punto una tecnica, chiamata trasferimento nucleare cellulare somatico, la stessa che viene usata per clonare un organismo, come nel caso della pecora Dolly, che consiste nel trapiantare un nucleo cellulare di una cellula matura in una cellula uovo privata del nucleo, che dà origine a una popolazione di cellule staminali.

In quest’ultimo studio Ecker, e colleghi hanno effettuato il primo confronto diretto tra sette linee cellulari di staminali pluripotenti indotte e quattro linee di staminali ottenute mediante trasferimento nucleare, utilizzando cellule uovo di una singola donatrice, e infine due linee cellulari di staminali embrionali. Una prima analisi ha dimostrato che tutte le cellule prodotte erano in grado di differenziarsi in diverse cellule somatiche, e avevano un contenuto di DNA pressoché identico al loro interno. Un’analisi più approfondita ha però rivelato alcune differenze tra le diverse linee cellulari, in particolare nei processi di metilazione, cioè di legame con gruppi chimici metile, che regolano l’espressione di specifici geni.

Più precisamente, gli autori hanno verificato che gli schemi di metilazione del DNA delle cellule ottenute per trasferimento nucleare sono molto più simili alle cellule staminali embrionali rispetto alle pluripotenti indotte. La stretta somiglianza è stata poi confermata dagli effettivi schemi di espressione genetica. Tutto questo porta gli autori a concludere che le cellule ottenute per trasferimento nucleare siano le più adatte a essere utilizzate nelle ricerche a fini terapeutici.

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