Due enzimi chiave, e una dieta ipocalorica sono il segreto della longevità

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la struttura teorica di un enzima

la struttura teorica di un enzima
la struttura teorica di un enzima

Scoperte in California le molecole che collegano dieta ipocalorica e longevità. Non solo prevenzione, ma anche cure per le patologie senili
MANGIA poco e vivi cent’anni. Funziona per topi, ratti e vermi. E, probabilmente, anche per l’uomo. La regola è nota da molti anni, ma la scoperta dei ricercatori del Salk Institute for Biological Studies, in California, ci porta un passo più in là: beneficiare della diminuzione di calorie senza dover stare a dieta. Gli effetti salutari di un’alimentazione ipocalorica, infatti, determinano un’allungamento della vita grazie all’azione di una catena di enzimi. I due enzimi in coda alla catena attivano i recettori che promuovono la longevità. E se si riuscisse ad attivare i recettori “dall’esterno”, l’aumento dell’aspettativa di vita ci sarebbe anche senza dieta.

Gli esperimenti che hanno portato alla scoperta sono stati condotti sui nematodi (vermi cilindrici), una specie molto sfruttata in biologia per la semplicità di studio del suo genoma. Grazie a questi vermi si era già scoperto quale gene lega la restrizione calorica alla maggiore aspettativa di vita, e sempre loro sono stati fondamentali per l’individuazione degli enzimi. Infatti i vermi che mangiano poco, ma a cui manca almeno uno dei due “enzimi della longevità”, non ricevono alcun beneficio dalla dieta stretta.


Il primo enzima, detto Wwp-1, “gioca un ruolo fondamentale nel regolare la longevità”. Lo spiega Andrea Carrano, una ricercatrice dell’American Cancer Society, che ha unito il suo lavoro a quello del Salk Institute. Il Wwp-1 è, infatti, una ligasi, vale a dire un enzima che indirizza le proteine di scarto nelle “discariche cellulari”. E il Wwp-1 interagisce in modo fondamentale con la seconda molecola, Ubc-18: “Aumentando la quantità di entrambi gli enzimi nelle cellule, i vermi vivono il 20 per cento in più anche mangiando troppo, mentre disattivandone anche uno solo l’effetto longevità della restrizione calorica svanisce”.

Si sa dagli anni Trenta che topi, vermi e altri animali a regime alimentare ipocalorico vivono circa il 30 per cento in più dei loro simili che possono, invece, mangiare liberamente. Per l’uomo i riscontri c’erano, ma solo indiretti: le popolazioni più longeve, infatti, sono quelle delle isole giapponesi di Amami e Okinawa, che assumono in media solo 1800 calorie al giorno contro le 2500 degli italiani e le 3000 di uno statunitense.

Ora, la scoperta dell’interazione fra i due enzimi fa fare un passo avanti nello studio dell’invecchiamento:”Se riuscissimo a identificare i recettori – spiega Andrew Dillin – potremmo elaborare trattamenti per malattie legate alla vecchiaia”. Non solo prevenzione, ma anche cure per le patologie senili. “Questa scoperta” spiegano i ricercatori “è inaspettata ma assolutamente interessante e potrebbe dirci molte cose sul processo di invecchiamento umano”.

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