Sindrome da stanchezza cronica: avanza l’ipotesi di un retrovirus

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XMRV

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Non è la malattia degli scansafatiche, dei finti malati. Sospettata di dipende­re esclusivamente da proble­mi psicologici o psichiatrici, la sindrome della stanchezza cronica (Cfs) ottiene il paten­tino di vera e propria patolo­gia con radici organiche. Per la verità già da alcuni anni la comunità scientifica aveva cominciato a modifica­re il suo atteggiamento preve­nuto riconoscendole una cer­ta attenzione anche sul piano dei finanziamenti per la ricer­ca. Ulteriore prova a favore è lo studio pubblicato sulla rivi­sta Science . Una delle cause determinanti potrebbe essere un retrovirus (cioè un virus che si replica in modo inver­so) che normalmente infetta i topi, lo xenotropic murine leukemia virus (XMRV). Ses­santotto pazienti americani su 101 arruolati nell’indagine sono risultati positivi, contro gli otto di un gruppo di con­trollo. Inoltre, il 95%, contro il 3-7% della popolazione nor­male, hanno sviluppato gli anticorpi corrispondenti al re­trovirus, che può restare si­lente nel Dna, dunque non in­fettare.

FARMACI ANTIVIRALI – «Sono necessarie delle con­ferme, ma è una novità inte­ressante anche per le applica­zioni terapeutiche», commen­ta Umberto Tirelli, istituto on­cologico di Aviano, uno dei primi ad occuparsi di fatica cronica in Italia. Si profila l’ipotesi di utilizzare gli stessi farmaci antivirali anti Aids perché il virus appartiene alla stessa famiglia di quello del­l’immunodeficienza acquisi­ta (Hiv). Judy Mikovits, pri­mo autore dell’articolo com­parso su Science e direttore del Whittemore Peterson In­stitute di Reno, sta già lavo­rando su un protocollo di cu­ra che verrà sperimentato sui, attualmente orfani di te­rapie specifiche. Alla ricerca hanno collaborato i gruppi del National Cancer Institute e della Cleveland Clinic. Dun­que, istituzioni di tutto ri­guardo.

PREDISPOSIZIONE – Il retrovirus murino non sa­rebbe comunque l’unico re­sponsabile di una sindrome che negli Stati Uniti colpisce almeno un milione di perso­ne (17 nel mondo). Il suo ruo­lo è quello di scatenare una serie di eventi a cascata in in­dividui già predisposti geneti­camente ed esposti a fattori tossici dell’ambiente. Defini­ta febbre degli yuppie perché poco circoscrivibile, la stan­chezza cronica viene diagno­sticata quando perdurano una serie di condizioni. Sei mesi di fatica slegata da altre cause, presenza di almeno quattro dei seguenti otto sin­tomi persistenti: cali di me­moria e concentrazione, mal di gola, comparsa di linfono­di, dolori a muscoli e articola­zioni, tendini, mal di testa, di­sturbi del sonno e senso di malessere dopo gli sforzi. Co­me essere perseguitati da una fastidiosa febbriciattola che getta in uno stato di disagio e debolezza. Identificata nel 1980 negli Usa, solo 19 anni più tardi i super stanchi han­no ottenuto un riconoscimen­to ufficiale dai Centers of dise­ase Control, il centro america­no per le malattie infettive. In Italia i pazienti sono almeno 300 mila, soprattutto giovani adulti tra 18 e 45 anni, in pre­valenza donne. Sono nati cen­tri specializzati. Tra gli altri, oltre ad Aviano, a Pavia, Bellu­no, Pisa e Chieti. Quattro as­sociazioni si battono per la vi­sibilità. «E’ un problema se­rio. Non è semplice sensazio­ne di fatica, ma spossatezza profonda, fisica e mentale che a volte porta con sé la de­pressione. Molti sono costret­ti a lasciare studio e lavoro», dice Tirelli. Non esistono pro­tocolli di cura codificati. Ogni centro procede sulla base del­l’esperienza, ora con farmaci neuroregolatori, cortisonici, integratori, antiossidanti, im­munoglobuline. Qualcuno guarisce.

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