Cancro al fegato: sperimentata una terapia specifica e mirata

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Bloccare il nutrimento al tumore con farmaci efficaci indirizzati direttamente al suo interno, minimizzando gli effetti collaterali: questo il traguardo raggiunto dai medici ricercatori dell’U.O. di Oncologia Medica II dell’IRCCS Fondazione Salvatore Maugeri, già pubblicata nelle riviste scientifiche Anticancer Research e Cardiovascular and Interventional Radiology.

hepasphere per veicolare principi attivi
hepasphere per veicolare principi attivi
Il gruppo di ricerca, attivo nella lotta contro l’epatocarcinoma ed il colangiocarcinoma, ha sperimentato l’utilizzo dell’oxaliplatino, un farmaco chemioterapico già noto, impiegato nella terapia di vari tipi di tumore e gravato da effetti collaterali per l’intero organismo, veicolato però attraverso particolari microsfere (hepasphere) che riescono a trasportarlo e trattenerlo in sede tumorale, evitando una diffusione nel sangue.

I ricercatori dell’Ambulatorio di Epatologia Oncologica dell’U.O. di Oncologia Medica II, in collaborazione con il Laboratorio di Misure Ambientali e Tossicologiche dell’IRCCS Fondazione Maugeri, attraverso uno studio preclinico, hanno caricato con l’oxaliplatino le hepasphere, che si distinguono rispetto alle altre microsfere per la loro capacità di assorbimento del farmaco impiegato.


L’oxaliplatino, già utilizzato nella chemioterapia sistemica, è un potente chemioterapico in grado di colpire efficacemente il tumore, ma è mal tollerato dall’organismo a causa di effetti collaterali prevalentemente neurologici, in alcuni casi gravi. Le hepasphere, caricate per la prima volta con l’oxaliplatino, combinano l’abilità di veicolare il farmaco direttamente nel tumore con la capacità di ischemizzare il tumore stesso, bloccandone la vascolarizzazione. Il farmaco viaggiando all’interno delle hepasphere, per mezzo di un catetere inserito nell’arteria, viene veicolato al tumore raggiungendo così il duplice obiettivo di aggredirlo farmacologicamente nella sua sede e di ostruirne le vie di alimentazione, ovvero i vasi arteriosi che vascolarizzano il tumore.

“L’embolizzazione epatica con agenti chemioterapici (T.A.C.E. – Transcatheter arterial chemoembolization), questo il nome della tecnica sopra descritta, è anch’essa già nota ed in uso – spiega il dr. Guido Poggi dell’U.O. di Oncologia Medica II – ma con risultati meno soddisfacenti poiché, con la tecnica tradizionale (senza microsfere), le sostanze iniettate si diffondono maggiormente nel sangue creando più frequentemente effetti collaterali. Con la nuova tecnica, invece, si ottiene una grande concentrazione di farmaco nel tumore senza dispersione nei tessuti sani, come emerge dai profili farmacocinetici, e quindi si minimizzano gli effetti collaterali della chemioterapia. Il tumore viene embolizzato in una o più sedute e il paziente viene successivamente rivalutato con esami strumentali, TC o RMN, per verificare la completa necrosi tumorale. Uno studio intratessutale (il primo di questo genere) dimostra gli effetti positivi nel fegato dell’azione embolizzante dell’oxaliplatino veicolato con le microsfere”.

La scoperta dei ricercatori dell’IRCCS Fondazione Maugeri è legata quindi all’associazione tra mezzo e farmaco: aver dunque verificato che l’oxaliplatino non solo viene ben assorbito dalle hepasfere ma viene rilasciato solo all’interno del tumore. Per la prima volta si è provato a caricare le microsfere con questo tipo di farmaco, intervenendo su un tipo di tumore, il colangiocarcinoma, che è parzialmente responsivo al trattamento sistemico con oxaliplatino. “Abbiamo applicato questa tecnica a tumori non operabili e refrattari alle tradizionali cure chemioterapiche – continua il dr. Guido Poggi – ottenendo un incoraggiante allungamento della sopravvivenza dei pazienti trattati. Si tratta infatti di tumori che nei casi non operabili hanno una prognosi infausta a breve termine”.

I risultati ottenuti dal gruppo di studio dell’IRCCS Fondazione Maugeri assumono ancora maggior rilievo se si pensa che il tumore al fegato è la quinta causa di morte a livello mondiale e che il colangiocarcinoma rappresenta circa il 20% di tutti i tumori primitivi del fegato.

“Questi tumori reagiscono alle terapie embolizzanti (che ostruiscono i vasi sanguigni) perché si alimentano prevalentemente per via arteriosa; il fegato, al contrario, ha una doppia vascolarizzazione: la vena porta (per il 70%) e l’arteria epatica (per il 30%) – spiega ancora il dr. Poggi. – È possibile quindi necrotizzare una parte di fegato, quella malata, proprio perché, anche impedendo l’alimentazione dalle arterie, il fegato continua a ricevere in ogni caso la maggior parte di nutrimenti. Viceversa, il tumore, una volta ostruita la via arteriosa, viene ischemizzato e muore. Con tutti i limiti legati al fatto che si tratta di uno studio retrospettivo, la scoperta apre in ogni caso nuovi e stimolanti scenari nella lotta contro questo tipo di tumore – conclude il dr. Poggi -: si può ipotizzare di caricare le microsfere con nuovi chemioterapici, farmaci biologici o antiangiogenici, e si può pensare di combinare l’azione di più farmaci, o di diversi tipi di microsfere, con proprietà complementari, per un risultato più efficace. Si potrà infine tentare di ampliare la sfera di azione agendo su altri tipi di tumore”.

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