Una proteina che protegge il cervello, dopo un danno, da ulteriori lesioni. I meccanismi.

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In seguito a un danno non letale, viene prodotta una proteina, chiamata iduna, destinata a proteggere le cellule nervose dai danni sucessivi legati allo scatenamento dei meccanismi di apoptosi


Un nuova proteina “della sopravvivenza” che potegge il cervello dagli effetti di un ictus è stata identificata da ricercatori della Johns Hopkins University School of Medicine a Baltimora in un modello murino della malattia. La proteina – come viene descritto in un articolo pubblicato su Nature Medicine – interferisce con un particolare processo di morte cellulare che si scatena anche in molte altre patologie, dall’infarto al diabete.

In particolare la proteina viene prodotta quando, in seguito a un danno non letale, vengono innescati dall’organismo meccanimi volti a proteggersi da danni sucessivi. La proteina è stata chiamata Iduna, dal nome di una divinità mitologica norvegese che era a guardia di un albero di mele dorate in grado di restituire la salute agli dei feriti o malati.

Iduna agisce in particolare interrompendo una cascata di eventi molecolari che esita in un comune e diffuso tipo di morte cellulare, dovuta alla frammentazione del DNA cromosomico indipendente dalla caspasi (viapartanathos), che si riscontra sovente nei casi di ictus, Parkinson, diabete e infarto. Legandosi a una molecola nota come polimero PAR, Iduna previene lo spostamento del fattore di induzione dell’apoptosi (AIF) all’interno del nucleo cellulare.

Nel corso dei loro esperimenti i ricercatori hanno appurato che il gene per la proteina si attiva in seguito all’esposizione delle cellule cerebrali a sostanze tossiche. Inoltre, i topi geneticamente modificati per produrre quantitativi più elevati di Iduna riuscivano a superare più facilmente un ictus o altri danni cerebrali, con una migliore conservazione della funzionalità dei tessuti cerebrali e minori conseguenze a lungo termine.

“L’identificazione di molecole protettive come Iduna potrà un giorno portare a farmaci che innescano meccanismi di sopravvivenza nelle persone colpite da un ictus o dalla malattie come il Parkinson”, ha detto Ted Dawson, che ha coordimato la ricerca con Valina Dawson, che ha osservato: “A quanto pare, quello che non uccide, rende più forti”.

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