Funghi magici e LSD: perché la mente si ‘espande’

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Un nuovo studio pubblicato su Human Brain Mapping è riuscito a mettere in luce il processo con cui i cosiddetti funghi “magici” siano in grado di provocare un’espansione della mente

Gli scienziati hanno esplorato il mondo delle droghe psichedeliche per osservare cosa accade nel cervello.

Che si tratti di LSD o funghi magici una cosa è certa: il nostro cervello funziona in modo anomalo. E’ infatti in gradi di vedere cose e situazioni che nessun altro può fare.
Cosa accade dentro di noi? E’ la domanda che si sono posti alcuni scienziati anglosassoni. E la risposta – sembra – l’abbiano trovata.

Dai loro studi, eseguiti scansionando il cervello di soggetti volontari, è emerso che gli effetti cerebrali sono per la maggior parte dovuti a una sostanza chimica psichedelica, la psilocibina.

Tale sostanza ha dimostrato di attivare la rete cerebrale connessa al cervello primitivo associato al pensiero emotivo. L’ippocampo e la corteccia cingolata anteriore, inoltre, rimanevano attive nello stesso momento. Questa situazione è simile a quella che si verifica mentre si sta sognando. La differenza principale, tuttavia, è che quando si assume la psilocibina l’attività si dimostra molto più disarticolata e disorganizzata, collegandosi, in particolar modo, al pensiero di livello più alto come la coscienza di sé.

Attualmente, tra le sostanze in grado di creare una situazione di questo genere, si conoscono solo le droghe psichedeliche. Per capirne di più, i ricercatori hanno analizzato i dati provenienti dalle scansioni di imaging cerebrale effettuate su 15 persone, dopo aver fornito loro una dose di endovena di psilocibina. Le immagini provenivano da una risonanza magnetica funzionale (fMRI) eseguita una volta con la droga psichedelica e l’atra con placebo.
«Quello che abbiamo fatto in questa ricerca è cominciare a identificare la base biologica dell’espansione della mente, riportata e associata alle droghe psichedeliche – spiega il dottor Robin Carhart-Harris, del Dipartimento di Medicina dell’Imperial College di Londra – Ero affascinato a vedere similitudini tra il modello di attività cerebrale in uno stato psichedelico e il modello di attività cerebrale durante il sogno, soprattutto in quanto entrambi coinvolgono le aree primitive del cervello legate alle emozioni e alla memoria. La gente spesso descrive l’assunzione di psilocibina come la produzione di uno stato onirico e i nostri risultati hanno, per la prima volta, fornito una rappresentazione fisica per l’esperienza [che si instaura] nel cervello».

Durante lo studio sono stati identificate le variazioni dell’ampiezza delle fluttuazioni in ciò che viene chiamato il segnale di livello dipendente dall’ossigenazione del sangue o BOLD (blood oxygenation level depedent). Tale elemento indica i livelli di attività cerebrale. E’ attraverso questo che si è potuto constatare come il lavoro legato al pensiero di alto livello diventa disorganizzato sotto l’effetto della psilocibina. Quando una rete come questa viene particolarmente colpita essa assume un ruolo centrale nel cervello; e questa è proprio una delle aree più importanti se consideriamo che è legata al nostro sé.
La corteccia cingolata anteriore, invece, ha dimostrato di essere in stato di eccitazione, mentre la parte più primitiva lavorava in maniera più coordinata.

«Un buon modo per capire come funziona il cervello è quello di perturbare il sistema in modo marcato e le droghe psichedeliche fanno proprio questo; divengono così strumenti potenti per esplorare ciò che accade nel cervello quando la coscienza è profondamente alterata – spiega Enzo Tagliazucchi della Goethe University in Germania – E’ la prima volta che usiamo questi metodi per guardare i dati di imaging cerebrale, e questo ha offerto qualche affascinante spunto su come le droghe psichedeliche espandono la mente. Fornisce una finestra attraverso cui studiare le porte della percezione».

«Imparare a conoscere i meccanismi che stanno alla base di ciò che accade sotto l’effetto di droghe psichedeliche può anche aiutare a capire i loro possibili usi – aggiunge il dottor Carhart-Harris – Stiamo attualmente studiando l’effetto dell’LSD sul pensiero creativo e ci sarà anche l’eventuale possibilità che la psilocibina possa aiutare ad alleviare i sintomi della depressione, consentendo ai pazienti di cambiare i loro modelli rigidamente pessimistici di pensiero. [Le droghe] psichedeliche sono state utilizzate per scopi terapeutici negli anni 1950 e 1960, ma ora stiamo finalmente cominciando a capire la loro azione sul cervello, e questo può farci comprendere come farne un buon uso».

Inizialmente i dati erano stati raccolti dall’Imperial College di Londra, nel 2012, da un gruppo di ricerca guidato dal Dottor Carhart-Harris e dal professor David Nutt del Dipartimento di Medicina dell’Imperial College di Londra.
Già dai primi risultati erano emersi i cambiamenti cerebrali associati al farmaco psichedelico. Al fine di approfondire l’argomento, sono stati quindi reclutati altri specialisti come il dottor Dante Chialvo e il dottor Enzo Tagliazucchi.

A termine ricerca sono affiorati anche altri spunti interessanti come il fatto che i volontari – sotto l’effetto delle droghe – avevano una gamma decisamente più ampia di potenziali stati cerebrali a loro disposizione. Già studi precedenti avevano dimostrato che la mente funziona meglio in un punto critici in cui c’è maggiore equilibrio tra ordine e disordine cerebrale, mantenendo un numero ottimale di reti.
Secondo i risultati ottenuti, la psilocibina, è in grado di manipolare questo punto critico.
La ricerca è stata finanziata dalla Fondazione Beckley.

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