Tbc: Scoperto un nuovo meccanismo con cui il micobatterio infetta le cellule

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Mycobacterium tuberculosis

Mycobacterium tuberculosis
Mycobacterium tuberculosis

Il Mycobacterium tuberculosis infetta le cellule: sintetizzando uno degli enzimi responsabili della virulenza direttamente nel citoplasma.

Il Mycobacterium tuberculosis intossica le cellule immunitarie grazie all’azione dell’enzima adenilato ciclasi, che il microrganismo riesce a sintetizzare direttamente dentro la cellula. Lo ha scoperto il team di ricerca di William Bishai della Johns Hopkins School of Medicine (Stati Uniti). Il meccanismo, finora sconosciuto, è stato descritto sulle pagine di Nature.

La maggior parte dei batteri infetta le cellule ospiti attraverso un meccanismo indiretto: vengono secrete delle tossine fuori dalla cellula la cui presenza fa aumentare i livelli della molecola segnale ciclica cAMP, che a sua volta disturba i meccanismi di segnalazione della cellula ospite, rendendola così vulnerabile all’attacco del patogeno. Secondo un processo non ancora chiaro, l’aumento del livello del cAMP, infatti, inibisce i meccanismi della cellula che danno luogo alla formazione dei fagosomi, le porzioni di membrana che circondano e consentono di distruggere il batterio.


Il M. tubercolosis, invece, ha dimostrato di possedere almeno un gene che codifica direttamente per l’enzima adenilato ciclasi, una delle sostanze responsabili della virulenza. E di poterlo immettere direttamente nel citoplasma cellulare. Per giungere a questa conclusione, i ricercatori hanno infettato alcuni macrofagi (cellule del sistema immune) con batteri mutati in uno dei geni per l’adenilato ciclasi. Successivamente hanno osservato che i livelli di cAMP restavano invariati e hanno concluso che era proprio il tratto mutato (e per questo inattivo), il responsabile della produzione dell’enzima.


La ricerca statunitense aggiunge un nuovo tassello nello studio di questa malattia che ancora causa 1,7 milioni di morti all’anno (su 8,9 nove milioni di nuovi casi ogni anno), e potrebbe indirizzare la ricerca verso nuovi e più efficaci trattamenti. (Galileonet.it)

Riferimento: Nature DOI: 10.1038/nature08123

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