Processi cognitivi che risiedono nel cervello: vero o falso?

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corteccia frontale inferiore, una regione ben nota per il suo coinvolgimento nell’elaborazione del linguaggio, foto e didascalie del 2001

corteccia frontale inferiore, una regione ben nota per il suo coinvolgimento nell’elaborazione del linguaggio, foto e didascalie del 2001
corteccia frontale inferiore, una regione ben nota per il suo coinvolgimento nell’elaborazione del linguaggio, foto e didascalie del 2001

Uno studio condotto mediante l’utilizzo della risonanza magnetica funzionale, realizzato presso la Facoltà di Psicologia dell’Università Vita-Salute San Raffaele di Milano in collaborazione con l’Università di Lisbona e pubblicato sulla rivista Cortex, rivela che la capacità di distinguere il vero dal falso nella vita quotidiana coinvolge due distinti processi mentali e sistemi cerebrali.

Studi condotti in precedenza in questo ambito suggerivano che i processi cerebrali di analisi di frasi, indipendentemente dal loro valore di verità, vengano effettuati dalla corteccia frontale inferiore, una regione ben nota per il suo coinvolgimento nell’elaborazione del linguaggio.


Lo studio pubblicato su Cortex, svolto da ricercatori delle Facoltà di Psicologia dell’Università Vita-Salute San Raffaele di Milano e dell’Università di Lisbona, mostra invece che stabilire se una frase é vera si fonda soprattutto su un processo di recupero di informazioni dalla memoria, mentre determinare se essa é falsa attiva processi analoghi a quelli di ragionamento e soluzione di problemi.

Ai volontari che hanno preso parte allo studio è stato chiesto di leggere, una alla volta, frasi semplici e verificabili, nelle quali un dato concetto era associato ad una certa proprietà (ad esempio “L’aereo atterra”,oppure “La giraffa è alta”), e di decidere se esse erano vere o false.

Le frasi proposte sono state accuratamente bilanciate in termini di ambiguità e difficoltà, utilizzando sempre lo stesso campione di concetti e proprietà, mediante associazioni differenti, per generare infine sia le frasi vere che quelle false.

I risultati dello studio hanno mostrato come l’analisi di frasi false attivi in maniera specifica le porzioni più anteriori della corteccia prefrontale destra, che altri studi hanno mostrato essere coinvolta in compiti di ragionamento. Al contrario, la comprensione di frasi vere coinvolge una regione più posteriore, precisamente la corteccia parietale sinistra, e il nucleo caudato, uno dei gangli della base (strutture sottocorticali “profonde” del nostro cervello), che è noto per il suo coinvolgimento nell’elaborazione di stimoli gratificanti.
L’interpretazione proposta dagli autori, basata anche sulle conoscenze già disponibili in letteratura, è che il coinvolgimento della corteccia parietale rifletta il recupero dalla memoria di dati che possano confermare la verità della frase appena letta, mediante un processo di “ricerca e corrispondenza” che probabilmente richiede anche la partecipazione del nucleo caudato. L’attivazione di quest’ultimo, inoltre, potrebbe plausibilmente rappresentare anche il senso di gratificazione (reward nella letteratura anglosassone) derivante dall’avere correttamente riconosciuto una frase come vera.

Afferma Stefano Cappa, Preside della Facoltà di Psicologia dell’Università Vita-Salute San Raffaele e autore dello studio: «I risultati di questo studio confermano la possibilità di affrontare con i metodi delle neuroscienze problemi ritenuti di solito dominio esclusivo della riflessione filosofica, e dimostrano la possibilità di “leggere” quello che avviene nella mente dei soggetti analizzandone l’attività cerebrale»

Infatti, l’utilizzo della risonanza magnetica in questo tipo di esperimento ha consentito di mettere a confronto due modelli che in precedenza erano stati discussi solo a livello teorico, e di fornire un dato concreto in proposito, verificando quali aree del cervello si attivano specificamente. In pratica ha permesso di effettuare un’inferenza dall’attività cerebrale, osservata con la risonanza magnetica e con sofisticate analisi dei dati, al processo mentale sottostante.

Alla luce di questi risultati, e degli studi condotti in precedenza in questo ambito, è forse possibile tentare una riconciliazione tra posizioni storicamente conflittuali circa la comprensione del linguaggio, proprie di un dibattito che si può far risalire addirittura a Socrate e Protagora. Sembrerebbe che, quando le differenze tra verità e falsità sono chiare ed evidenti (come negli studi precedenti) ci comportiamo come relativisti, ed utilizziamo un singolo processo mentale per fornire un giudizio in merito. Invece, quando potenziali fattori linguistici confondenti vengono accuratamente controllati, e le differenze tra verità e falsità sono molto sottili (come nello studio appena pubblicato su Cortex), aderiamo ad una posizione “categoriale”, ed utilizziamo processi mentali e cerebrali qualitativamente differenti per decidere cosa è vero e cosa è falso.

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