Steatosi epatica: la quantità di batteri che vivono nel nostro intestino e il grado di permeabilità dell’intestino stesso possono contribuire allo sviluppo

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Giunzioni cellulari e permeabilità pareti intestinali

Giunzioni cellulari e permeabilità pareti intestinali
Giunzioni cellulari e permeabilità pareti intestinali

La quantità di batteri che vivono nel nostro intestino e il grado di permeabilità dell’intestino stesso, cioè la misura di quanto sono lasse le cosiddette giunzioni intestinali fra una cellula e l’altra, possono contribuire allo sviluppo della steatosi epatica, patologia più comunemente nota come fegato grasso.

È questo il risultato di uno studio appena pubblicato sulla rivista dell’Associazione americana per lo studio delle malattie del fegato Hepatology, reperibile online su Wiley Interscience.

A questo studio ha preso parte un team di specialisti (Luca Miele, Venanzio Valenza, Massimo Montalto, Giuseppe La Torre, Giovanni Cammarota, Roberto Ricci, Fabio Vecchio, Roberta Mascianà, Alessandra Forgione, Maria Letizia Gabrieli, Gianlodovico Rapaccini, Giovanni Gasbarrini e Antonio Grieco) dell’Istituto di Medicina interna e geriatria dell’Università Cattolica di Roma.


Studi precedenti avevano già suggerito che la flora batterica intestinale potesse giocare un ruolo nella Non-alcoholic fatty liver disease (NAFLD), cioè la malattia del fegato grasso non alcolico o steatosi epatica. Alcuni ricercatori si erano chiesti se l’esposizione del fegato ai batteri provenienti dall’intestino potesse promuovere questa progressione.

Il gruppo di ricercatori, guidati da Antonio Grieco, docente dell’Istituto di Medicina interna della Cattolica-Policlinico Gemelli di Roma, ha appunto studiato la permeabilità dell’intestino in 35 pazienti affetti da steatosi epatica e ha confrontato i risultati sia con quelli ottenuti su 27 pazienti affetti da celiachia all’esordio, un tipo di pazienti che si sa essere predisposti a problemi intestinali, sia con quelli di 24 volontari sani.

“Per verificare la severità del danno epatico nei pazienti affetti da steatosi abbiamo effettuato una biopsia – spiega Greco – mentre abbiamo valutato il livello di contaminazione batterica intestinale degli stessi pazienti attraverso il test del respiro (breath test) dopo assunzione glucosio. Con altri esami abbiamo quantificato la permeabilità intestinale e l’integrità delle giunzioni intracellulari dell’intestino tenue”.

Il test del respiro con glucosio è un test molto ingegnoso che consiste nel far assumere uno speciale zucchero dal paziente per via orale, per poi andare a misurare a intervalli regolari di tempo, attraverso il suo respiro, la quantità di idrogeno prodotta che è legata alla quantità di batteri che metabolizzano lo zucchero.

“La scoperta principale di questo studio – aggiunge Grieco – è che sia la permeabilità intestinale, sia l’anomala concentrazione della flora batterica nell’intestino tenue sono maggiori nei pazienti affetti da steatosi epatica e sono correlate con la gravità della patologia. La distruzione delle giunzioni intercellulari potrebbe spiegare la maggiore permeabilità di questi pazienti”.

I ricercatori ipotizzano anche che l’eccesso di flora intestinale e/o l’aumento di permeabilità associato a questa potrebbero causare la steatosi. L’idea è suffragata dalle ricerche sul topo e dai lavori sperimentali che sostengono che i probiotici possono migliorare la steatosi provocata da una dieta ricca di grassi.

“Ci sono diverse ipotesi in campo per spiegare come mai questi batteri intestinali possono facilitare l’accumulo di grasso nel fegato – spiega ancora Luca Miele, coautore dello studio. – Per esempio attraverso la produzione di tossine, oppure interferendo con la sintesi delle lipoproteine, che sono fondamentali nella mobilizzazione del grasso. Ci vorranno nuovi studi per determinare l’esatta relazione causale fra questi due elementi, e queste conoscenze potrebbero portare a terapie nuove per la steatosi che puntino a modificare il microbiota, ovvero l’ecosistema intestinale”.

Proprio quello che si aspettano i due autori dell’editoriale che commenta lo studio, Elisabetta Bugianesi ed Ester Vanni dell’Università di Torino. Secondo loro, sono proprio le terapie che si concentrano sullo stile di vita le migliori per i pazienti affetti da steatosi. Manipolare la flora intestinale attraverso antibiotici, prebiotici e probiotici potrebbe aiutare a controbilanciare l’effetto di diete sbilanciate nelle malattie metaboliche.

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